TEMTÖ TUNES: NON SOLO ZOMBIE. "NO NEED TO ARGUE" DEI CRANBERRIES

 


di Silvestro Perri

Spero abbiate il vostro passaporto in tasca, perché questa settimana Temtö vi porta in Irlanda, a risolvere una grande ingiustizia musicale (almeno secondo la mia mente malata).
Il 15 gennaio 2018 la cantante dei Cranberries, Dolores O’Riordan, muore annegata in una vasca da bagno, dopo aver assunto massicce quantità di alcol. Il mondo della musica si strinse attorno alla sua famiglia e alla band, e ricordo che non c’era una persona che all’epoca non postò lo stesso esatto link sulla propria pagina Facebook: il videoclip di “Zombie”. Conosciamo tutti questa canzone, e lungi da me il giudicare chi l’ha scelta per commemorare la cantautrice irlandese, ma devo essere sincero nel dire che dopo la tristezza, la seconda emozione che provai in seguito alla morte di Dolores fu la rabbia. Da grande estimatore di “No Need To Argue” – l’album da cui è tratta “Zombie” – ho sempre sentito un forte rifiuto verso quella canzone. Ancora non so perché sia così, ma userò la stesura di questo articolo per arrivare fino in fondo, scoprire le radici di questa mia frustrazione, e fare una piccola seduta di psicanalisi con me stesso. 
ɪɴ ᴍʏ ʜᴇᴇᴇᴇᴇᴀᴅ, ɪɴ ᴍʏ ʜᴇᴇᴇᴇᴇᴀᴀᴀᴀᴀᴀᴀᴀᴀᴀᴀᴅ


Iniziamo con un’ovvietà: per quanto sia un po' over-played, Zombie era ed è ancora una canzone della Madonna. Potentissima, cruda, selvaggia. Non sono qui per screditare un pezzo così iconico, ma per convincere i nostri lettori ad andare oltre la hit. Una delle particolarità di No Need To Argue è infatti la quasi totale assenza di distorsioni nelle chitarre: è praticamente un album folk rock, in cui Zombie fa da eccezione alla regola, ed è forse questo a renderlo un disco memorabile e importantissimo. L’unico problema rimane nel fatto che tutti conoscono Zombie, ma troppi pochi amanti della musica hanno veramente ascoltato le altre dodici tracce che compongono l’album.

La componente folk dell’album è veramente preponderante, e i Cranberries non ci tengono a nasconderlo, dato che la prima traccia ci mette di fronte ad una tenerezza quasi insopportabile. “Ode to my family” racconta dell’infanzia irlandese di Dolores O’Riordan, che si espone con una naturalezza e vulnerabilità che quasi mi fanno vergognare ad ascoltarla: questa canzone è una finestra aperta sulla vita di una persona, viene quasi da pensare che non siano fatti miei e non dovrei ascoltare. E invece ascolto, eccome se ascolto. Del resto non sono né la chitarra e né la batteria ad aprire l’album, ma la voce inconfondibile di Dolores. A differenza dell’album di esordio, in questo secondo lavoro la cantante si prende il palcoscenico senza timore, e utilizza la sua voce incredibile in maniera nuova e fresca (per quanto qua e là si possano trovare dei riferimenti stilistici a Sinead O’Connor e Siouxsie Sioux). 

Le canzoni successive si dividono tra poesie con velato accento irlandese, lamenti mistici e ballate folk in piena regola. Si sale e si scende, senza mai diventare violenti, senza mai alzare troppo il volume; il mix di No Need To Argue è in vecchio stile, analogico e caldo, a momenti sembrerebbe quasi in presa diretta tanto è immediato e semplice. Eppure dietro questa semplicità apparente si cela una complessità che non è casuale, sviluppata in una serie di progressioni armoniche che si fanno via via più struggenti, come in “Empty”, in cui la voce di Dolores vola altissima e plana ripetutamente, abbracciata dal crescendo finale di chitarra acustica e violini.
I Cranberries riescono ad allestire canzoni perfette, sia nella forma che nel contenuto, senza mai strafare, senza assoli o vezzi stilistici, facendo sembrare alcune cose veramente troppo facili. E quando un qualcosa sembra troppo facile, vuol dire che dietro c’è un lavoro incredibile, e non si parla solo di lavoro nello studio di registrazione: le canzoni di No Need To Argue trasudano vissuto, emozioni e storie di vita, e soprattutto trasudano Irlanda.

Avete presente la convinzione diffusa che un buon basso debba quasi essere inudibile nel mix? Dimentichiamola. Mike Hogan suona un basso scarno, si dedica a rimarcare la tonica di ogni accordo, e raramente si lascia andare a frasi melodiche ispirate, ma il suo strumento è sempre gonfio, secco e pesante, e si sente senza problemi, ma non stanca mai. Se uniamo questa caratteristica ad una batteria che non pesta, e che invece di fare casino cerca di fare da percussione leggera e accompagnatrice, otteniamo la ricetta perfetta per un album che non può stancare. Parliamo di un disco che si ascolta dall’inizio alla fine con una facilità estrema.

Non voglio dilungarmi, ma ci tengo ancora a fare presente che per quanto Zombie sia un pezzo importantissimo per la storia della musica, è un peccato che abbia distolto dall’ascolto di un album che è un capolavoro, un 10 su 10, nel quale la presenza della sopracitata hit riesce a dare quel tocco in più che regala la lode al disco dei Cranberries.
Ultima menzione d’onore è la closing track, che porta il nome dell’album: Dolores canta, accompagnata da un organo leggerissimo, della fine di una storia d’amore. La stessa canzone è stata cantata, nella chiesa della sua città natale, dai suoi colleghi e amici, in coro, al suo funerale. Questo “fun fact” quasi mi fa sorridere, dato che la mia storia d’amore con Dolores o’Riordan, nel suo piccolo, forse non finirà mai. 

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