LA 25ª ORA. MOREGRÈ, "NON MI BASTANO 24 ORE AL GIORNO".


di Saverio Marasco

 

Cosa fareste con un'ora in più al giorno?

Dico, con una vera e propria "ora free", che sembri durare all'infinito. Che duri fino a quando non ne sia trascorso l'ultimo secondo.

 

Con un'ora immateriale che non abbia confini, che ci fareste?

 

I Moregrè sono un gruppo giovane, pazzerello, acrobatico. 

Sono 4: Fabrizio, Vincenzo, Nic, Mez. Fuorisede da Bologna, sono al secondo lavoro pubblicato, ancora una volta, da indipendenti.

 

Dopo "Dove il cielo non segni la fine" (2020), l'11 marzo pubblicano "NON MI BASTANO 24 ORE AL GIORNO".

 

Quest'ora in più, loro, la riempiono tra i vicoli bolognesi, nei circoli arci, nel sudore dei concerti.

 

Cercano di capire cosa giustifichi tutta quell'irrequieta inquietudine che ci fa fare cose totalmente sbagliate e contronatura, come alzarsi prima ancora che suoni la sveglia. Calma.

 


Al centro di tutto c'è "Je T'aime", dal cui testo esce fuori, a pieni polmoni, il titolo dell'EP. 

Voglio credere che sia il lungo minuto in cui abbiamo anche il tempo di urlarci l'amore per noi stessi, oltreché per le nostre sgretolatissime fondamenta.

Sarà forse il momento, eppure questo mi viene da leggerci se avessi io un'ora in più!

 

Non è neanche un'empatica questione di inni generazionali, è solo una presa di coscienza: ora o mai più, chissà se dopo ne avremo il tempo.

 

Una produzione indipendente e giusta. Un sound, per quello che dobbiamo fare con 'sti pezzi, giusto.

 I riferimenti sono quelli immancabili: su tutti, FBYC e Gazebo Penguins (per i quali, giustamente, hanno pure aperto).

 I testi viaggiano tra bisogni semplici e sinestesie, poesia volgare e dolcissima.

I Moregrè riescono ad utilizzare un linguaggio quotidiano ed a dire cose immediate senza risultare banali, o peggio, non credibili.

Mancanze, incertezze, bisogno di una via d'uscita che possa portare un po' di pace dentro tutto questo schitarrare.

 


"Perdonami" è un intero coro da stadio che ci urla contro che, quest'ora, dobbiamo usarla anche per le persone che hanno fatto parte di noi.

 

«Non è tutta mia la colpa, questo tu lo sai» è forse quello che stiamo cercando di dire da sempre.

 

Infine, "Dopo non c'è niente". Frastuono, stop.

 

Un pugno di mosche.

 

Cosa ci lascia quindi questo disco?

 

Forse il guardarsi indietro e cercare di mettere insieme tutti i minuti sprecati, così da riversarli in uno spazio temporale immaginario ed ulteriore, dove tutto ha la chance di trovare il proprio posto, nonostante la certezza che trovare il proprio posto sia la cosa più spaventosa e difficile che ci sia.

 

I Moregrè quanto meno ci provano, riescono a trovare il proprio posto o, quantomeno, a trovarsi nel loro spazio.

 

Quindi che fare, noialtri, gettare la spugna a priori sulla ricerca di questo fantomatico locus amoenus in cui c'è il tempo di dare voce alle occasioni sprecate?

 

Riconoscere di non riuscire più ad ascoltare i Verme per paura della reazione che questo comporterà?

 

Chissà, forse prima o poi lo troveremo un po' di tempo per prenderci cura delle nostre miserevoli fratture.

Forse sì e molto probabilmente no.

 

Ma a volte basta anche solo scrivere un bel disco per iniziare.

 

 E vedrete come non serva neanche un'ora intera: ce la si fa perfettamente in poco meno di 20 minuti.

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Artwork di Giacomo Capolupo



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