IL CALEIDOSCOPIO ONNIVORO DEI THE BREAKBEAST: MONKEY RIDING GOD
di Nat Vescio
Musicisti che con disinvoltura e talento mescolano jazz, funk, hardcore, techno, punk, industrial, fusion, afrobeat, jungle e hip hop, senza mai eccedere o strafare, non esist... E poi ho scoperto il suono senza precedenti dei The BreakBeast!
Il supergruppo - con tanto di tecnica mostruosa infilata nel posto giusto al momento giusto - nasce nel 2020 grazie alla potente coesione tra Sergio Pomante (Sudoku Killer, ex Ulan Bator) al sax, Alessandro Vagnoni (Bologna Violenta, Ronin, Drovag) alla batteria e Mario Di Battista (La Mala Sementa, Ulan Bator) al basso e alla voce.
Monkey Riding God (sì, in copertina ci sta una scimmia che cavalca una capra) è il loro album debutto, uscito il 5 novembre via Overdrive Records e si presenta, con titoli surreali e ironici, come un calderone in cui The BreakBeast miscelano bene le loro influenze, sapientemente bilanciate tra groove e melodia.
La proposta è ampia e per un pubblico eterogeneo: potrà appassionare gli amanti della musica sperimentale per la qualità tecnica, potrà stuzzicare gli estimatori del free jazz per la frenesia compositiva ma anche chi bazzica lidi funk, punk e hip hop (come nel primo singolo estratto “Depeengo”, featuring il rapper Egreen) rimarrà a bocca aperta sentendo le sonorità messe a punto dalla triade.
Ha un intro accattivante “ The Trickster Who Invented Xenofunk”: una voce maniacale ci mette al corrente che “your God is dead now”, il tutto cadenzato, ripetuto, solenne come una marcia, un vortice che ti strappa via dal suolo e ti fa provare una sensazione di piacevole e ilare disagio prima di riposarti a terra.
La minacciosa sirena della polizia c'introduce a “Cop Porn” che sfocia nella tipica andatura funk su una batteria che pesta decisa e un basso grosso e definito dove non mancano di certo le parti deliranti. Devo proprio dirlo, che bel groove!
Continuiamo l'inseguimento col funk poliziottesco di “Phunk Is Not Dead”, melodia killer e ritmo coinvolgente a cui si affianca “A Thousand Elephants Are Shitting On Wall Street”, di struttura più elaborata e preponderante, che conclude con un fragoroso “So I'm free now, dancing with fire”
“Ending Anthroposcene From A Monkey's Rave Party” è una danza rituale in cui si raggiunge l'apice della follia con un imponente sound hardcore techno che esprime bene l'apocalisse imminente e ci prepara al brano che chiude il tutto, l'oscura “Nomadic War Machine”.
Un crossover schizoide dove si mescola l'ira di Dio e, in cui, la vena sperimentale rimane la prevalente.
L’aspetto ironico è molto importante per i tre – appartenenti a quel mondo alternativo che non si prende mai sul serio ma che sotto sotto fa sul serio – i quali giocano come dei bambini giganti con tutto quello che gli capita a tiro: la quantità di idee è, chiaramente, spaventosa.Ogni brano supera il precedente in complessità ed eccentricità facendomi definire, così, la loro musica, musica onnivora in un caleidoscopio di idee ed intuizioni!
La sensazione che si prova ascoltando il debutto de The BreakBeast è di divertimento e stupore, ma anche di esaltazione.Il trio – una spanna sopra gran parte dei compositori contemporanei – ha imbandito la tavola con ricche pietanze esotiche.
Avanti Signori commensali, venite ad ingerire e metabolizzare queste prelibatezze!
PS. E poi è uno di quei dischi che ti fa tornare indietro col player per sentire i vari passaggi... da paura!
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Vignetta di Giacomo Capolupo
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