“LA MIA VOCE TREMA”: EVOCAZIONI E INVOCAZIONI, DI DAVIDE AMBROGIO
by Davide Caligiuri
Cataforìo: formalmente frazione di Reggio Calabria, praticamente piccolo villaggio sule pendici dell’Aspromonte. Le due caratteristiche che risaltano: la scarsa popolazione (appena 400!) e una radicatissima tradizione lirica, talmente radicata da essere ormai parte integrante della cultura e della vita locale.
Perchè Cataforìo? Perchè è il paese d’origine di Davide Ambrogio, cantante e polistrumentista che, nonostante il trasferimento a Roma, continua ad essere visceralmente legato alla tradizione musicale da cui proviene. Una tradizione che nei suoi lavori rievoca e continua, fatta di scongiuri, lamenti di fronte alle difficoltà della vita, ma anche celebrazioni della comunità e della vita at large.
E il lavoro che andiamo a esplorare oggi insieme, Evocazioni e Invocazioni (Calatea 2021), sua prima opera solista, è questo fino in fondo: un’opera folk che non è solo rievocazione (come tanta musica etnica locale), non è solo una dichiarazione d’amore verso la propria terra; è portare avanti una tradizione esistente, confrontarcisi ad armi pari ed ammettere, di fronte ad essa, la propria fragilità nel tentare di proteggerla e continuarla. La propria natura di individuo singolo, l’orgoglio: la debolezza che questa singolarità comporta, e la forza che la comunità, la terra e la storia riescono a dare in fronte alla transitorietà del suono e del ricordo stesso.
<< la mia voce trema >>
Il disco è composto da nove brani, ciascuno corrispondente a un differente glifo: come in una struttura concentrica, ogni coppia di glifi forma un sigillo con un significato definito, creando cinque correnti che si alternano e attraversano. Ciascuno di essi rappresenta uno dei temi cardine del disco: phonè, individuo, comunità, sacro.
Privarvi dell’esperienza di esplorare il booklet e il sito, e gli aneddoti e gli approfondimenti che Davide fa durante i suoi live, sarebbe farvi un torto: tuttavia, un breve excursus sulle tematiche è doveroso.
Phonè è la voce che non mente, il suono che parla senza intendere nulla; individuo è il riflesso del suono che diventa io; comunità dove l’io diventa organismo e forza; sacro è il mistero e l’inspiegabile.
Al lettore più attento, parrà chiaro come ci sia una sorta di percorso che porta da un concetto all’altro: un tracciato che va avanti e indietro, attraversa ciò che non può essere compreso, utilizzando i simboli dove le parole non possono spiegare, e inizia dove finisce. Un circolo che è indice del profondo lavoro dietro le quinte nella concettualizzazione del disco.
Per facilità di comprensione, accanto a ogni pezzo verrà indicato il sigillo corrispondente.
A Sant’Andrea (phonè): apertura del disco, è anche una dichiarazione d’intenti. Accompagnamento ridotto al minimo, quasi solo atmosferico, e la vocalizzi che prendono il sopravvento sul testo stesso: è la voce la protagonista di questo brano più ambient che etnico, voce che si alterna con gli altri strumenti a fare da protagonista, alternandosi invece di mescolarsi.
A Santa Rusulia (individuo): questo pezzo presenta per la prima volta altre due freccie nell’arco di Ambrogio; i campionamenti che sanno di passato e la ripetizione, ossessiva, simile a un mantra, di una strofa o discorso. Altro pezzo più ambient che etnico, gli strumenti continuano a creare atmosfera, ma qui più scura, più tesa, in accordo col tema del pezzo.
A San Rocco (comunità): primo pezzo folk nel senso classico del termine, A San Rocco tira fuori prepotentemente tutta la tradizione musicale calabrese che i primi due pezzi avevano, se non nascosto, diciamo adombrato. Pezzo serrato e squisitamente ritmico, il testo un’invocazione al santo che da il nome al pezzo. La crudezza dei temi si mescola alle sonorità festose e crea un effetto che si allontana dal sound da cartolina e diventa quasi estatico, orgiastico (come ogni vero canto tradizionale). Splendido l’uso di più voci per creare l’effetto di un coro festoso di una festa patronale. Forse uno dei pezzi più riusciti del disco.
Veniti Sonnu (sacro): bel contrasto col pezzo precedente, entrambi mantenenti l’impronta tradizionale anche nella composizione. Potrei paragonarlo a una coperta infeltrita, vagamente consunta e sgualcita, scura ma confortevole. Dolce e confortevole si, ma si fa un po' dimenticare.
A San Michele è il 47 e il 4.
Misteru (sacro): Più declamazione che cantato, questo pezzo continua la linea abbandonata poc’anzi di accompagnamenti minimali. Come il suo doppio, Veniti Sonnu, dolce e confortevole, ma dimenticabile.
La panza ciangi e lu cani ridi (comunità): qui inizia una doppietta incredibile. La semplice rievocazione della cultura tradizionale si passa alla critica sociale, alternando canti e sonorità tradizionale a campionamenti, brevi declamazioni di gusto squisitamente teatrale (“ladieees and gentlemen…”) e cori di voci di sottofondo che nella loro genericità diventano essi stessi accompagnamento. Semplice, veloce, tagliente. Meraviglioso.
Canto del carcere (individuo): se il pezzo precedente era una critica con gli occhi al passato, questo è una critica al presente. Forse il pezzo più lontano dagli altri a livello di scelte stilistiche, risulta comunque toccante e apprezzabile nelle scelte compositive. Proprio per la differenza stilistica, soprattutto del cantato, forse risulta un po' debole perché mostra il fianco ad una certa inconsistenza col resto del disco.
L’accordo (phonè): conclusione del disco, L’accordo chiude com’è iniziato, alternando vocalizzi che superano il significato e delicatissimi accompagnamenti. Personalmente, pezzo struggente: in pochi minuti, racchiude l’affetto verso il proprio paese e la propria storia, la propria esperienza, e chiude con una nota di vulnerabilità che trovo semplicemente geniale:
<< la mia voce trema >>
Ho raramente scritto così tanto di un disco, è c’è ancora moltissimo da dire: forse più di quello che io stesso sappia scrivere.
Evocazioni e Invocazioni è un disco che tocca, forse inavvertitamente, molte cose che mi stanno a cuore: l’abbandono di una struttura rigida per la musica, il suono stesso come significato, l’approccio minimalista e ripetitivo come strumento per ipnotizzare l’ascoltatore, la ricerca sonora, ma anche i piccoli tecnicismi produttivi, specialmente nelle voci.
E’ un disco perfetto? Assolutamente no. Ci sono affinità in alcuni pezzi e alcune scelte stilistiche con i lavori di Iosonouncane, anche più di quanto si vorrebbe, come non si tarda a notare (e come molti mi han fatto notare); alcuni pezzi sanno di riempitivo, altri sembrano andare troppo lontano dal resto; inoltre rimane dubbio quanto un’operazione del genere possa essere ripetuta riuscendo a non cadere nella mera imitazione di se stessi, proprio per la natura estremamente particolare del disco. Ma sono piccolezze nel quadro generale.
Davide è riuscito a catalizzare l’emozione verso la sua terra, i suoi ricordi, i suoi affetti, i suoi pensieri; li ha espressi senza raccontarli direttamente, ma lasciandoli fluire naturalmente, in una forma che essa stessa richiama tutti i simboli e i significati necessari. E’ un lavoro profondamente personale, ma anche un’opera d’ingegno nel suo sapersi narrare senza narrarsi, ma facendosi subire come flusso d’immagini, sonore e liriche, che s’intrecciano senza soluzione di continuità.
Penso che nel suo complesso sia più godibile a chi ha già esperienza di un background simile a quello del disco; tuttavia, è un’opera che consiglio spassionatamente a tutti. Mentre parliamo Davide è già al lavoro su altri progetti, che osserverò con piacere, sperando di poterli vedere presto.
E comunque,
Mimmo u pompieri
chi è?
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