TRASFORMAZIONI. ovvero “Flashbulbs”- Artichokes.
di Saverio Marasco
È luglio, e fuori piove.
Penso alle trasformazioni, soprattutto musicali.
Se confronto i miei gusti attuali con quelli del passato, mai mi sarei immaginato di elencare,di seguito, queste cose tra le basi portanti che cerco, oggi, in musica.
E queste cose sono: bassi pesanti, batterie veloci e drittissime, spasi immensi.
Ma sia chiaro: devono essere tutte cose studiate ad arte, per ottenere la mia più totale attenzione; sicuramente è questa la mia trasformazione maggiore, da fruitore musicale.
Tutto questo mi viene in mente, non a caso, mentre ascolto “Flashbulbs” (2021/ReVerb), ultima fatica e secondo disco degli Artichokes, band Varesina composta da Anthony D’Anguì (chitarra e voce), Andrea De Thomatis (basso) e Lorenzo Lanteri (batteria).
Il disco si apre con “Tocka”, traccia della quale apprezzo la velocità e l’imponenza; il trio varesino spinge sul gas fin da subito, regalandoci un'apertura di album al cardiopalma, sicuramente degna di nota. Viaggiamo in una traccia strumentale che è un vortice che, anch'esso, si trasforma in più momenti diversi e, con piacere, inaspettati. Un racconto supportato dall'ottimo lavoro ritmico di basso - che mi riporta all'adorato “The Real Thing” dei Faith no More - e batteria, a cui va sicuramente il plauso iniziale del disco.
“Neurone (balla da solo, e si diverte) [Il mio unico]”. Nome lunghissimo per il pezzo n° 2 di Flashbulbs.
Inforcare questi synth riesce nell'effetto vincente di quello che forse è un gioco compositivo. E poi parte. Ho sentito fraseggi simili nei maledetti Snarky Puppies. Sono tutto loro, totalmente rapito da quella che rimarrà, ex post, la mia traccia preferita dell’album.
Si prosegue con “L.O.D.A.”, acronimo per "Lorda Orda di Androidi". Che titolo geniale è? Va ad integrarsi col pezzo precedente come momento pazzerello del disco: ci piace. Intrippati, rapiti, sorpresi; c'è l'attitudine del miglior prog in fondo ai riverberi degli Artichokes. Ci sarebbe troppo da dire: sui synth vintage che suonano sempre bene, sul basso protagonista, sulle sezioni orchestrali, il saper rasentare la cacofonia. Promossi a pieni voti, in un'altra trasformazione della Band nel disco.
La successiva “Possibile” porta con sé atmosfere larghissime e la prima prova, nel disco, del gruppo. La scelta dell'italiano è sempre da premiare, il timbro c'è e quindi sono disposto a dargli la chance di provarci: sicuramente non è tipo di scrittura che preferisco per brani del genere, ma riesco a vederci comunque delle possibilità.
Arriviamo finalmente alla title track, “Flashbulbs”, che rimbomba con il suo groove, inaspettatamente piacevole. Richiama la fusion più attuale, così ben strutturata da pretendere attenzione; non meno potente delle precedenti, gli Artichokes non perdono occasione per stabilire un certo suono, pur sempre ruvido e pesante.
E dopo la title track, abbiamo la traccia di chiusura: “Alle stelle”. Spicca ancora l'enormità del suono del basso ed anche la voce prende la direzione giusta, che va ad arricchire, in finezza, l'arrangiamento del brano. Tutto questo mente suonano forti e lontane le chitarre degli Artichokes: suonano fortissime e vanno a mettere la ciliegina sulla torta, trasformandosi nel delirio dell'hardcore più ricercato, più profondo, più pensato.
Un finale esplosivo che ci lascia con la voglia di tornare ad ascoltarli ed a pretendere, da 'sti ragazzi, ancora di più. Si può fare.
Sbem.
Un disco curatissimo – grazie anche all’Onda Studio di Imperia ed all’ACME Recording Studio di Raiano, che si son divisi il centrale compito di registrazione e mastering – e suonato in maniera decisa, coscia, consapevole.
Un altro Sbem.
Insomma ricorderò Flashbulbs per le trasformazioni sonore che mi ha fatto assaporare, oltreché ascoltare, e per essermi reso conto, ancora una volta, di come la trasformazione, nella musica, sia inevitabile quanto fondamentale.
E questo vale decisamente un altro Sbem.
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Per Conoscerli Meglio ➡ Artichokes | RE_verb | Second Chapter
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