L’EFFIGE DI UN ANNO NERO, PT.2: “Stasi” degli A P N E A



by Davide Caligiuri

C’è uno spazio musicale, una nicchia anzi, che ha avuto pochi discepoli e pochi proseliti negli anni, e che molto spesso ha vissuto di rendita o del continuo ricordare alcuni artisti, ormai idoli. Stiamo parlando del post-metal, e in particolare di quel sound che è stato forgiato nel nuovo millennio da gruppi come Neurosis, Isis, Cult Of Luna. Man mano che gli act più famosi si spegnevano, nel naturale ciclo di vita di ogni creatura vivente (e non?), pochissimi son rimasti a portare avanti questa particolare commistione di cantato urlato, crescendo post-rock col distorsore a palla, atmosfere titaniche e durissime, come piloni d’acciaio chilometrici usciti dalla mente di qualche appassionato d’architettura post-sovietica.

Gli A P N E A, act letteralmente appena nato, decide di pagare a suo modo tributo a questa scena musicale sempre più esile, col suo primo EP Stasi, uscito di recente per Drown Within Records, Fresh Outbreak Records, Esercito Della Chiesa Dorata, Trepanation Recordings, Zero Produzioni, Nihilocus Records.

E di più che tributo si parla: i quattro in mezz’ora scarsa tracciano quello che è un lavoro alla fine personale, per quanto ancora chiaramente ancorato a quelle che sono le caratteristiche del sound in cui sembrano volersi posizionare.
 

Liberty Will Never Perish, l’intro, apre con uno strumentale tutto sommato sottotono che accompagna spoken-word samples. D’effetto, ma non che brilli di luce propria.
Il pezzo successivo, Resina, invece apre le danze e fa capire di cosa son capaci: utilizzo molto cinematografico di samples, un’ottima performance vocale, e la componente strumentale violenta come una raffica di onde in un mare in tempesta. Trovo notevole la capacità di mantenere costante il livello di aggressione mantenendo ritmiche e sviluppi così sobri, mi ricordano i Cult Of Luna in questo.
Under Oath riduce la carica violenta rispetto al pezzo precedente, lo rende però ancora più fangoso, più scuro: a metà pezzo, prende piede un crescendo che da un semplice arpeggio sale fino ad una serie di sferzate di chitarra, che calano come accette sull’ascoltatore.
Cul-De-Sac, in qualche misura, continua sullo stesso percorso: ancora più lenta, ancora più ritmata. Qui l’atmosfera creata finora mostra tutta la sua imponenza, ma inizia anche a mostrare un filo il fianco del suo essere monolitica, senza variazioni né alterazioni di sorta.

L’abilità della band sta, secondo me, nel creare un’atmosfera del tutto particolare: un grigiore ritmico, una scultura senza lineamenti, una tempesta che si estende in ogni direzione. I riff massicci e cangianti, il cantato urlato, la ritmica costante ma mai ripetitiva riescono a creare uno stato d’animo neutralmente negativo, in cui ciascuno può vedere riflesse le proprie claustrofobie esistenziali. Eppure, non è self-loathing: questo grigiore, questo clima musicale son portati avanti con sobrietà e grazia, come un pavone di cenere e cemento. In qualche misura, il male diventa bellezza.
 

Cosa rimane a fine EP? Sicuramente gli A P N E A han mostrato di sapere il fatto loro a livello strumentale, e di saper prendere a piene mani dai loro riferimenti musicali. L’influenza dei Cult Of Luna in particolare è molto evidente, e un po' nascosta ma sempre presente anche quella di certo sludge metal: tuttavia, il saper mescolare le carte in maniera credibile e il taglio vagamente “atmosferico” del disco (riferito alla preferenza verso un creare atmosfere sonore piuttosto che concentrarsi sulla struttura o sui tecnicismi) dimostrano che ci sono tutte le carte in tavola per vedere un’evoluzione e una crescita estremamente promettente.

Nessuno pretende che il primo EP di una band appena nata sia rivoluzionario o ineccepibile, ma sicuramente questo fa ben sperare. Consiglio a tutti gli appassionati di post-metal e sludge di tenerli d’occhio, e stare attenti alle loro prossime pubblicazioni: potrebbero stupire in positivo, e penso che lo faranno.
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