THE BLACK IRON PRISON: CREATURA DEL DEMIURGO CONTEMPORANEO MASSIMO PUPILLO



 

di Nat Vescio 

 

Cari lettori, ascoltatori, melòmani... Oggi mi rivolgo proprio a voi. 

Dite di nutrire una passione viscerale per la musica in generale ma quando vi ritrovate davanti a musica concreta spesso e volentieri il vostro pregiudizio vi allontana aspramente dal vostro reale scopo: ascoltare. 

Ebbene, come mio servizio settimanale, vi porto davanti un artista che coltiva un'etica di apertura strumentale con vent'anni di musica alle spalle, con più di 70 album e 3000 concerti in tutto il mondo. 

Ora, non spesso quantità vuol dire qualità ma mai come in questo caso sono sicura di una cosa: 

Massimo Pupillo è il nostro demiurgo contemporaneo, una figura che attraverso “il mondo delle idee”, prendendole come modello, dà forma alle cose, usando la materia come strumento (e qui l'aver imbracciato il basso e, con sapienza, tastato sintetizzatori, mixer e registratore dà al tatto 

qualcosa di sovrumano) 

 

Ma chi è Massimo Pupillo? 

 


Nato a Roma e cresciuto ad Ostia, è un compositore noto soprattutto per essere il bassista degli Zu, una delle band più potenti in circolazione, con cui ha prodotto più di 15 album con etichette come Ipecac Recordings (USA), House of Mythology (UK), Heads (Japan), Southern (UK), Atavistic/Touch'n'Go (USA), ecc... 

Fervente sperimentatore, ha all'attivo numerose e disparate collaborazioni con nomi fra i più importanti delle avanguardie internazionali: da Terry Riley (uno dei maggiori rappresentanti della musica minimalista assieme a Philip Glass) al duo pianistico francese Katia e Marielle Labèque, da Justin Vernon (Bon Iver) a David Tibet (Current 93), da Guy Picciotto e Joe Lally (Fugazi) per poi arrivare a Jim O'Rourke (Sonic Youth) senza menzionare Mike Patton, dai. 

La sua è una vita improntata sulla ricerca di altri stati di coscienza, conseguibile soltanto vivendo e sentendo “il mondo” inteso come Verità. E da qui ecco Massimo Pupillo che passa un anno sull'Himalaya in un monastero tibetano, niente di più autentico per la sua indagine sonora, o ancora, in Amazzonia, in un villaggio indigeno Shipibo, dove il canto è la forma principale di medicina. 

 

Sono esperienze che influiscono profondamente su come percepisci e ti sintonizzi col potere del suono. 

 

Pubblicato il 6 novembre 2020 (per Subsound Records) e registrato in completa solitudine all'Aerial Studio di Thighpaulsandra (Coil/Spiritualized)  in Galles, fa capolinea nella mia e nelle nostre vite The Black Iron Prison, primo album solista del bassista e sperimentatore sonoro Massimo Pupillo. 

Il titolo dell'album (la cui copertina è realizzata da Francesco Russo e rappresenta l'alchimista che contempla la propria Nigredo, la fase della notte oscura dell'anima) è preso dalla trilogia Valis di Philip K. Dick che pone il lettore davanti folgoranti interrogativi sul tema della realtà-divinità. 

Fantascienzagnosticismo ed alchimia, quindi, come parole chiave per la nitidezza dentro la “Nera Prigione di Ferro”. 

 

My Inaugural Address At the Great White Throne è l'opener del disco e ci prepara il terreno: tetro, freddo e metallico, hai l'idea che ti stia per succedere qualcosa da un momento all'altro. È attesa, con palpitazioni all'unisono con i bassi in sottofondo, non ti fidi e ti giri dietro di tanto in tanto, per assicurarti di non essere seguito anche perché, in lontananza, avanzano delle voci inarrivabili. 

Uno stesso stato sonoro emotivo protratto in questa dimensione terrestre. 

 

Pistis Sophia (testo del vangelo gnostico che inizia con un'allegoria che compara la morte e resurrezione di Gesù alla discesa e ascesa dell'anima) ci solleva letteralmente da terra innalzandoci in aria e facendoci respirare a pieni polmoni uno stato di assoluta levità, malgrado le folate di vento che ci scombinano la retta, e quella strana sensazione di vertigine che appare e scompare mentre lentamente avanzi. Per arrivare dove, comunque? Se riavvolgi l'immagine alla fine ti appare un salto nel vuoto. 

 

La terza, The Great Tribulation, è uno scrutare il volto dell'altro attraverso un fuoco che arde, al centro, le cui faville fanno da cornice. La sensazione che si ottiene - saranno i suoni campionati - è 

sempre quell'aritmia di fondo data dal synth, molto inquietante e noir. 

 

Eccoci The Black Iron Prisontitle-track e ultimo brano di questo notevole album. E quello mi sembra un allarme ma l'atmosfera è troppo evanescente. Non ci troviamo sulla terraferma. Il suono è ovattato e ondeggiante. Andando avanti con l'ascolto non ho dubbi: sono in un sottomarino a chissà quanti metri di profondità! Tutto è fluido, quasi un liquido amniotico che ci protegge e riscalda. 

 

4 tracce come i 4 elementi dal cui equilibrio dipende la vita umana e la sopravvivenza del cosmo: terraariafuoco e acqua. 

Un numero perno e risolutore: quattro sono, infatti, i punti cardinali, i venti principali, le stagioni, le fasi lunari, le arti liberali del quadrivio, i lati del quadrato a cui veniva paragonata la Terra, senza dimenticare che nel macrocosmo rappresenta la Materia (originale, fisica, universale, elaborata) e 

nel microcosmo i quattro umori (muco, sangue, bile gialla, bile nera). 



 

Una “Nera Prigione di Ferro” che è piuttosto un mitreo, un luogo di culto di religione misterica, tenebroso e oscuro, dove poter distendersi e contemplare il mistero della vita e aprirsi alla conoscenza tramite il mondo dei sensi. 

Un'opera d'elettronica, ambient e avantgarde non creata affatto ex nihilo ma elaborata e 

resa nella sua forma ideale, la cui musica corre sui binari dell'introspezione ed evoca meditazione. 

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Per Conoscerlo Meglio ➡️   Massimo Pupillo | Subsound Records | Narcotica Promotion  Publishing 

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