LEMMY, IL PUNK, I KJÜMMO.

 

 di Saverio Marasco

 

Quando avevo circa 15 anni, verso la fine del secondo superiore se non erro, puntai, all’edicola sotto il mio liceo, quello che sarebbe diventato il primo numero di Rolling Stone acquistato nella mia vita.

Tralasciando la mia puerile liaison con il periodico musicale più famoso della storia del BlaBlaBla, ricordo nitidamente il faccione di Lemmy Kilmister dei Motörhead in copertina, ed una sua ricca intervista all’interno.

Una delle cose che più mi è rimasta impressa di quell’intervista, fu sicuramente il leggere che, verso il 1977, fu proprio Lemmy – all’epoca militante negli Hawkwind – a dare le prime, fallimentari, lezioni di basso a Syd Vicious dei Sex Pistols.

Lemmy ed il Punk.

Un giovane uomo ed un bambino, in quel momento storico, nello stesso punto.

Da lì i due protagonisti – Lemmy ed il Punk – intrapresero strade sonore diverse, che però forse hanno sempre puntato nella stessa direzione: andare veloce e fare il macello ed essere inevitabilmente pesanti.
Inevitabilmente incontratesi, a parer mio, nell’hardcore punk anche più moderno, queste due figure – Lemmy Kilmister ed il Punk – hanno avuto la stessa fondamentale importanza in una certa generazione che quest’hardcore, questa musica pesante ma veloce, lo porta avanti ancora oggi.

Parlo dei KJÜMMO, signori miei. Dei KJÜMMO e del loro EP d’esordio “Kjümmo”, uscito lo scorso 13 novembre per DUFF Records, definito dal trio come composto da quattro tracce rapide, martellanti, di rock'n'roll pesante.


Ed in fondo cosa diceva sempre Lemmy per aprire i concerti?

«We are Motörhead, and we play Rock n’Roll!»

Il gruppo del Cosentino formato da Aldo D'Orrico (Al The Coordinator, Muleskinner Boys, sempre loro ormai nella nostra tana) chitarra e voce, Anthony W. Calabrese (N.I.A. Punx, The Blatters) basso e voce, Francesco De Napoli (La Fine, The Malgioglios) alla batteria; tutti e tre da quel gioiellino collaudato che erano i Miss Fräulein.

Loro dicono di rappresentare «una fragorosa vendetta nei confronti di quelli che creano quel fastidioso brusio durante i concerti».

E la sensazione che si ha ad ascoltare quest’Ep d’esordio, è quella di restare ammutoliti a fare su e giù con la testa ripetendo dentro di sé «YEAH!».

Le quattro tracce, in realtà, sono state precedute da una magistrale cover dei Kyuss – “Fatso Forgotso Phase II (Flip The Phase)” – e dal singolo “Angelina”. Oh, Angelina, sei sempre la stessa dai tempi di Ivan (Graziani, n.d.r.), vero? Sempre uno spirito ribelle ma cangiante, che vaga nelle immagini liquide del Southern Stoner, accenni ai Pantera, sono pazzo. Un blues pesante, tronfio, che in meno di tre minuti sa virare in territori psichedelici, lunari, quasi prog e Palmeriani, una culla per le orecchie, per poi chiudersi ruttando come il miglior pezzo dei peggiori giovani Metallica, sì.

Ma, tornando al nostro pesantissimo Ep, questo si apre con “Assassination”. Chitarra e basso che cavalcano insieme in una maniera sudicissima, un uso dell'inglese ormai senza tanto timore – ad esempio, il nostro Al è una vita che canta così – ed una voce arrugginita che si aggira tra gli stop pestatissimi e nostalgici della batteria. Quelle belle cose hc su cassetta, ora disponibile in vinile sul sito di Duff Records.

Prosegue l’Ep con “Baby LaVon”: un rock n' roll creepy, pezzo figo. I Kramps con più birra e meno acidi, i Violent Femmes metallari, le Runaways se fossero stata una band hc anni '90, visto il contributo alla voce di Giuliett Von Mortoggi dei Manomorta.

Traccia n.3. “Petty Rabbit Eyes”. Qui siamo nel deserto. Si lascia immaginare una bella festa e casse di birra. Anche perché, richiamatemi pazzo, sembra di sentire qualcosa degli Eagles of Death Metal, o almeno che Al, Anthony e Francesco ogni tanto arrivino anche alle stesse conclusioni di Jesse Hughes &co. Buono a sapersi, ne voglio ancora.

Ma con “Cherryless” l’Ep si chiude e dobbiamo vedere come. O quantomeno che ricordo hanno scelto di lasciare i KJÜMMO ai loro ascoltatori.

Con l’ultima traccia si lasciano dietro un gran polverone, l’aria elettrica e satura dei fuzz, un brivido pesantissimo. Boom, fine.



I KJÜMMO a mio avviso partono col botto, figli di quei due viandanti – Lemmy ed il Punk – con cui ho iniziato questa storia, più che recensione. Alla fine non si può dire neanche che abbia fatto un vero e proprio confronto tra le cose; forse non serve, basta mettersi le cuffie nell’attesa di vederli dal vivo.

Perché in fondo, l’unica cosa che va tenuta in considerazione nel mettere a confronto i Motörhead, il Punk, ed i KJÜMMO, è una ed una sola: Mi fanno scatenare. Come solo chi possiede l’autentico spirito del Rock n’Roll sa fare. Alla fine, anche la band di Cosenza può orgogliosamente dire, a testa altissima:

We are KJÜMMO, and we play Rock n’Roll.

EdilnostronomeèesattamentelaparolaPIOMBOindialettoCosentinoFINECIAOSTOP 😊. 

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