UN "NON SERVIAM" EMOTIVO: “NON CAMBIERÀ” DEI DECACY

 

di Davide Caligiuri

Screamo: termine con cui si indica quella corrente che ha catalizzato la rabbia e la violenza espressiva del punk più duro per esprimere sentimenti e esperienze personali, delicati a volte, struggenti altre, e non più solo messaggi politici e di ribellione.

I Decacy, giovane band vicentina, appartiene a questa corrente e si aggiunge a una scena underground ma industriosa e piena di vita, soprattutto in Italia (che ha partorito uno dei gruppi più importanti del genere, i La Quiete). Col loro EP di debutto, Non Cambierà, vogliono dire la loro, e la dicon proprio bene.

L’EP si apre con Voragine, entrata rapidissima e intensa: screamo di scuola italiana, inframezzato da aperture melodiche. Frammenti continua la stessa intenzione, mostrando maggiore aggressività e momenti di riffwork molto più scuola hardcore, sfociando in una coda dolce e melodica. Sineddoche continua a premere sull’acceleratore (1:18!), per poi rilassarsi, quasi come a preparare il terreno alla traccia successiva, Limiti. Da qui in poi l’approccio cambia leggermente: primo pezzo a superare la barriera dei 3 minuti, i Decacy si lasciano andare a sezioni strumentali più lente e strutturate, mantenendosi comunque in ottica screamo/hardcore classico.

L’apertura di Uno/Due ricorda i momenti migliori dei Quercia: il pezzo è un costante saliscendi, non dissimile dai precedenti. Voyna, pezzo più lungo dell’EP, conclude in bellezza: la prima metà aggressiva, intensa, la seconda un crescendo strumentale che fa da canto del cigno per l’opera.


Brevissimo (18 minuti per 6 pezzi!) ma molto intenso, questo EP sputa rabbia e rimorso, e canta principalmente di nostalgia ed esperienze personali di Ale, Alberto e Carletto: ma al di là dei testi, ciò che davvero trasporta i loro sentimenti all’ascoltatore è la loro musica.

 Il loro sound è una continua altalena fra rapidissime bordate cariche di urla in coro e improvvisi sprazzi di melodia, tocchi che ingentiliscono e addolciscono ciò che trasmettono: non semplice rabbia cieca, ma rimorso, ricordi agrodolci, disillusione che non cede all’annullamento.

Merito va alla sezione ritmica, con Ale e Carletto sempre sul pezzo; invece, i continui arpeggi e licks che Alberto mette in gioco sono la maggior apertura melodica nella loro formula, e risente fortissimamente di un’influenza da tutta una scuola di band che hanno trovato il loro archetipo nel Midwest provinciale e nell’angst giovanile, che negli anni è diventata sempre più voglia di rivalsa verso le vite monotone e frustranti che gli ex-giovani, ormai adulti, si trovano ad affrontare (ricordiamoci che Mike Kinsella, storico frontman degli American Football, ha più di quarant’anni ormai!).

Tuttavia, questa influenza molto chiara non soffoca mai l’intenzione e la sonorità originale del disco-sfogo sia per chi suona che per chi ascolta; tutt’al più, li distanzia da gruppi più tesi verso sonorità più dure, senza estraniarsene completamente.

 

Volendo fare paragoni, viene anche troppo facile assimilarli alla corrente screamo che richiama chiaramente i La Quiete; per il gusto per la melodia e quanto detto, li si può certamente distanziare da gruppi tesi verso sonorità più dure (come i Loma Prieta più recenti, o gli Orchid, o i Saetia), senza estraniarsi completamente da quell’approccio più hardcore al genere.

Personalmente, perché ogni recensione è sempre un’atto di espressione personale, trovo che la band vicentina mostri un’invidiabile padronanza del loro sound, un’ottica musicale molto chiara, e la capacità necessaria per farsi ricordare in una scena piccola, senza grandi etichette o festival a celebrarla, ma ferocemente legata ai propri membri, ai propri simboli, e alla propria indipendenza.

Aspetterò con curiosità i loro primi split, e gli auguro il meglio; invito te, invece, a sentirli appena puoi e lasciarti trascinare dall’irresistibile gusto di essere sinceri, rabbiosi, ma mai rassegnati.

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