IL DILEMMA DELLA PANCHINA: "THE BENCH" DELLE VIOLET GHOST
di Silvestro Perri
“Life is like a box of chocolates”, parola di Forrest Gump. Avete mai provato ad aprire una scatola di cioccolatini nuova? Ci sono cioccolatini di ogni tipo, forma, colore e sapore. C’è l’imbarazzo della scelta, ma nessuno sceglie mai quello più semplice. Eppure a volte è proprio di quello che abbiamo bisogno, un semplice cioccolatino al latte, che troppo spesso ignoriamo.
Non è un caso se Forrest Gump ci regala la sua citazione mentre è seduto su una panchina. “The Bench” è il primo EP del duo perugino Violet Ghost. Lucia ed Elisabetta basano il loro racconto sull’immagine della panchina, le cui caratteristiche fondamentali sono descrittive del loro sound. La panchina non è un luogo dinamico, ma rappresenta la sosta, il ristoro, la riflessione. Vivere non è semplice per nessuno, e molte volte fermarsi a riflettere, leccarsi le ferite e aspettare che il mondo intorno a noi assuma sembianze meno spaventose può essere utile. “The Bench” non è un EP dinamico, non si lancia in sperimentazioni sonore o liriche, ma stende in sottofondo un semplice tappeto di accordi di chitarra acustica, abbellimenti di tastiera, organo, armonica e percussioni e infine racconta una storia.
La title track è un inno alla calma, alla riflessione, ci incita ad aspettare che il tempo guarisca ogni ferita. “Why”, invece, è una canzone inquisitoria mascherata da pezzo scanzonato, che ci porta a chiederci se la speranza sia davvero una trappola. “Deep sea” ci spinge ad andare avanti nonostante tutto, e non mollare. L’ultima traccia “Come in, pain” è una riflessione sul dolore, su quanto sia necessario e utile, nonostante tutto. Ognuna di queste canzoni presenta dei dubbi, ma alla fine dei giochi il messaggio di questa opera è di speranza, e tanto ci basta.
La matrice folk di questo EP è chiara, ma non ci sono scopiazzature. Le linee melodiche sono talmente semplici da non risultare manieristiche. Le voci di Lucia Mariani ed Elisabetta Caprini non cercano evoluzioni sonore, sono pulite, essenziali, si intrecciano senza sopraffarsi. Per quanto riguarda i testi, l’unica pecca potrebbe essere l’utilizzo un po' improprio della lingua inglese in alcuni tratti, ma siamo pronti ad invocare la licenza poetica quando necessario. Queste canzoni possono essere ascoltate su più livelli: da una parte potrebbero benissimo suonare in background in un tranquillo pub di provincia, dall’altra potrebbero prestarsi ad un’analisi più profonda e personale.
Secondo me i Violet Ghost non hanno voluto fare altro che invitarci a sedere su una panchina e ascoltare una sconosciuta parlare della sua vita. A volte ci si siede su una panchina per godere della solitudine, altre volte lo si fa proprio per non sentirsi soli, per fare parte del paesaggio e dimenticarsi dei propri problemi, farli diventare insignificanti.
Forrest Gump si sedeva sulla panchina e parlava agli altri della sua vita. Chi aspettava il bus non aveva voglia di ascoltarlo, e se ne andava infastidito, ignorando quale storia di coraggio, dedizione e sì, anche fortuna, quell’uomo stesse per raccontare. “The Bench” ci dà la possibilità di scegliere da che parte stare: prestare attenzione a queste donne che ci raccontano qualcosa, o scegliere di rilassarsi ascoltando la loro musica, e magari raccontare a noi stessi qualcosa sulla nostra vita che ancora non sappiamo?
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