“BRUTO MINORE” DEI RONIN: CREATURA LIBERA DA OGNI PADRONE

 



di Nat Vescio 
 

 

Dei Ronin, della prima volta che ne ho sentito parlare, ricordo la mia associazione al film con Jean Reno, un action movie da perdere il fiato. 

Perdere il fiato... Ho perso il fiato guardandoli live una settimana fa. Mi hanno presa, mi hanno messa su un cavallo e fatta sfrecciare verso l'ignoto. 

Innanzitutto si percepisce l'esperienza, il saperci fare, la complicità, la giusta comunione di sensi. 

In seguito avrei capito che il nome è riferito alla figura del ronin giapponese, il samurai decaduto, rimasto senza padrone. 

 

I Ronin sono un gruppo musicale post-rock italiano formatosi nel luglio 1999 guidato dal musicista e produttore discografico, nonché leader e mente della band, Bruno Dorella (WolfangoOvO, Bachi da Pietra). Lungo questi vent'anni pieni pieni, la line-up ha visto succedersi un sacco di abili e valorosi musicisti, fino ad arrivare alla formazione attuale (che sia quella definitiva?): ci troviamo infatti in compagnia dell'intero blocco di “Bologna Violenta”, Nicola Manzan (chitarra, violino) e Alessandro Vagnoni (batteria) e, al posto di Diego Pasini, Roberto Villa (basso, clarinetto), proprietario di uno studio totalmente analogico chiamato “Lamormiononmuoremai”. 




Il 16 settembre 2019 ha visto la luce – in analogico – la loro ultima creatura: Bruto Minore (BlackCandy Records), composta da 8 brani originali e una cover, “Tuvan Internazionale” degli Hun-Huur-Tu (gruppo musicale russo originario della repubblica di Tuva, sul confine con la Mongolia). 

Il titolo dell'album è ispirato ad una Canzone di Giacomo Leopardi (personaggio assai caro a Dorella) anche se proprio l'assonanza delle due parole ha stuzzicato l'estro del frontman e, in particolare, il significato che queste due possono evocare: Bruto, che indica qualcosa di violento e negativo, e Minore, che può avere, per quanto riguarda i Ronin, sia un significato strettamente musicale (una gran fetta del loro lavoro è in minore) sia in senso ampio il fatto che comunque siamo granelli di sabbia nel mondo. 

La sconfitta, tema sempre caro all'immaginario dei Ronin, ha per l'uomo di valore un'onorevole via d'uscita nel suicidio, visto come ultimo gesto per rimanere a testa alta di fronte all'insensibilità divina verso le cose umane e verso i gesti di eroismo. 

 

Interamente strumentale, il disco presenta note a chiaroscuro, più chiare che scure, semplici, essenziali, che ruotano libere, come in Capriccio, primo pezzo, con un intro placidamente classico, che provoca lo scaturire di una girandola ritmata e cadenzata, con pause di circostanza, quasi involontarie, che esaltano il pentagramma. 

Suoni che stimolano l'immaginazione nella produzione di scenari di vissuto e non vissuto, di un viaggio verso terre lontane e sconosciute ma non ostili: siamo in Oregon, la rassicurante e splendida seconda traccia che ci scorta verso questo iter intimo dal sapore vario. 

Moduliamo la nostra camminata e ci troviamo a marciare avvolti dall'atmosfera di Ambush, terza traccia che, in modo incredibilmente prog – mantenendo pur sempre quel solido tappeto post-rock – ti prende per mano e, facendoti ondeggiare, riesce, in maniera gentile, a crearti quel preciso tepore dato da ricordi a te molto, molto cari. 

Nel prosieguo dell'ascolto mi è impossibile non avere immagini davanti a me e penso a Dorella quando, parlando della musica dei Ronin disse: “Mi sono immaginato un film da commentare con la musica e tutti i brani hanno preso vita; hanno trovato la loro soluzione. 

Con l’ultima traccia “Bryson” veniamo cullati lentamente da riverberi e tremoli verso l’annientamento, la suddetta sconfitta. 


 

Il mondo musicale reinventato, rivisitato e combinato in atmosfere sonore piacevoli e stimolanti è un pregevole lavoro di sintesi. 

Salta all'occhio l'assoluta non staticità di ciò che ci viene proposto, una non-forzatura all'ascolto e alla meditazione che ciascuno rende sua, libera e personalissima. 

 

Riuscire a dire tanto senza utilizzare nemmeno una parola non è da tutti. 

 

Che sia un richiamo al selvaggio West, alla pace di un'isba lontana, al ricordo di onde marine accarezzate da una calda brezza, non riporta ad alcun dato o dogma incontrovertibile ed incontestabile ma riconduce ad una serie di sensazioni che, a volte, il libero pensiero cataloga come familiari, amiche o perdute. 

Questi ottimi compositori con un’ottica d’insieme fortissima sono riusciti a tirar fuori un’opera pregiata che incanta e non stanca. 

Da ascoltare con attenzione provando a coglierne sfumature e articolazioni.  

 

Viva! 

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Per Conoscerli Meglio
 ➡️  Ronin | Blackcandy Produzioni | Kashmir Music


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