Il curioso caso di Ivan Talarico – Un elefante nella stanza



di Nat Vescio 

 

Era il 5 agosto del 2017 e faceva un caldo cane. 

Io ed un bel gruppo di amici con in mano l'abbonamento alle due giornate del “Color Fest 5” siamo scesi a Lamezia, essenzialmente per i Gazebo Penguins e per gli One Dimensional Man (e qualcun'altro per i FASK). 
Beh, tutto mi sarei aspettata tranne che rimanere di stucco quando uno dei primissimi artisti del pomeriggio, con in mano solo la chitarra e il suo carisma, fa il suo ingresso e, con sapiente ironia e dialettica impeccabile, riesce a rapire la mia attenzione in maniera totalitaria. 
Chiedo in giro chi sia e mi pare di non esser l'unica incantata dalla sua performance: tutte facce sbigottite e divertite intorno a me.  
A fine concerto, ovviamente, io e la mia crew ci catapultiamo dall'artista a fargli domande, curiosi di sapere chi è, da dove viene e che progetti ha per il futuro. 
Questo il mio primissimo approccio ad un artista atipico (anche se non ama definirsi così), un cantautore che è poeta ma che è anche teatrante! 
Chi è questa rarità toccabile e palpabile con mano? 

 

Ivan Talarico. Nato sul lago di Como, cresciuto nella presila catanzarese, residente a Roma. 
Intuisco che la vita di Ivan è stata piena di colori e paesaggi così differenti e disparati tra loro da averne prodotto questa moltitudine di singolarità in una persona sola. 
Vincitore “Miglior Testo” al Musicultura 2015, ospite per il “Premio Tenco 2016” al Teatro Ariston e da Fiorello per  “Edicola Fiore” è autore di due libri di poesia: “Ogni giorno di felicità è una poesia che muore” (2014) e “Non spiegatemi le poesie che devono restare piegate” (2016), pubblicati entrambi per una piccola casa editrice indipendente romana, la Gorilla Sapiens Edizioni che, ahimè, ha chiuso i battenti durante la benedettissima quarantena (sul sito trovate la sezione “Gorilla Sapiens Goodbye” in cui fanno una svendita libri clamorosa). 
Nel 1999 fonda assieme a Luca Ruocco la compagnia teatrale DoppioSenso Unico, improntata su una comicità grottesca e ricercata volta a spiazzare il pubblico con un linguaggio sempre attento e con giochi di parole sempre presenti. 
 
Ecco perché Ivan riesce a fare quello che fa. Perché Ivan è tante cose. Perché a lui piace sperimentare, ricercare e assecondare una naturale curiosità e, soprattutto, riflettere sulla destrutturazione della forma, sull'uso dei suoni e sulle parole. 
Tutte queste peculiarità fanno parte del suo “Un Elefante nella Stanza”, album di debutto del 2019 (Folkificio) che, dopo l'ep del 2016 “Tra le orecchie e lo stupore”, raggruppa 12 canzoni che sono scelte tra i brani che Ivan da anni porta in concerto in tutta Italia. 
Ed è proprio di quest'album che voglio parlare. 
Di come, già leggendo i titoli, inizi a fantasticare sul perché si chiami così per poi capirlo dopo averla ascoltata. 
E così m'immergo. 
     

Sono catapultata in una foresta, i suoni della sua fauna mi circondano e io mi sento un po' spaesata e non riesco a rapportarmi agli altri, o meglio, non riesco ad esprimermi! Ecco che dalla mia bocca escono suoni onomatopeici: siamo nell'intro “Ho molte cose da dire, ma non mi so spiegare”. 
Ancora divertita mi ricompongo e mi affaccio alla seconda “Eppure noi viviamo ancora”, immagini e riflessioni su un'esistenza comune che ci porta inevitabilmente a farci domande. 
Andirivieni blu”, la terza, è più ritmata e spensierata e mi accompagna verso una delle perle di quest'album: “L'elefante”. 
Struggente come poche, con l'unico suono del pianoforte e la voce di Ivan, la quarta canzone parla di un rapporto problematico, come spesso accade, non corrisposto (non è amore, non è un elefante, non è catarro ma è una bugia).  
Tante lacrime e applausi. 
 
Con “Carote d'amore” cambiamo totalmente sonorità ma non tematiche: fraintendimenti e incomprensioni di coppia danzano allegramente tra giochi di parole e lunghi parlati a perdifiato (una bella sfida per noi “cantanti”!). 
Sul ritornello invece Ivan c'ha confidato che “a furia di cercare parole sono finito sui suoni onomatopeici” che dicono molto più di quel che possa sembrare, come nella settima traccia “Il mio occhio destro ha un aspetto sinistro” (un intermezzo a dir poco stravagante). 
Ogni traccia ti porta all'altra con sana curiosità e attenzione verso la scelta delle parole e la maestria con cui vengono intersecate: “Torta di male” ne è un esempio lampante dove una decisa chitarra acustica fa da spalla ad un irriverente e concisa voce che, a raffica, ci fa intuire che stare male non è più un fatto privato ma un'attitudine da esibire. 
Il finale è riservato a “Ho superato me stesso, mi aspetto al bar per bere una cosa insieme” dove, in aperta campagna, pascoli e ruscelli introducono vocalizzi incomprensibili che sfociano in tenue gridata. 
 
Un album da tenere in camera ma anche in macchina, in grado d'innescare riflessioni su un piano mentale e creare coinvolgimento e gioco sul piano istintivo. 
Un uomo, Ivan, capace di sorprendere e stupire, sbalordire e incuriosire, attirare l'attenzione e accendere la mente ma anche, e soprattutto, divertire. 
Suoni, colori, parole e strambismi... Lasciamoci, dunque, trasportare in questo vortice di sensazioni quasi surreali, mai banali, incalcolate ma totalmente inaspettate e godiamoci questo pentagramma impazzito, libero e vagamente indispettito. 
 
Perseverare! Perseverare! Perseverare! 

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Per Conoscerlo Meglio ➡️ Ivan Talarico | Folkificio

ASCOLTA "Un Elefante nella stanza" su Spotify ➡️ https://open.spotify.com/album/2UJcdCeEtPtXDeijSPS9pR?si=g8TQ0__9RuGyORA6I4oevg

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