“Ketsuekigata!”: il pianeta di sangue e frequenze de I Gattini di Salem




di Saverio Marasco 
 
Partiamo da un presupposto: questo disco è tante cose e tantissimi modi per essere visto, sentito, ascoltato, vissuto. “Ketsuekigata!” (2018) è il secondo disco per il trio Power Pop Punk Rock  – Satanico – Dolcissimo de I Gattini di Salem (Daniele Venti voce e chitarra, Giuseppe Lauricella al basso e Francesco di Stefano alla batteria) dopo “Niente ballate alla Vasco Rossi 3.0” (2017) e può essere o un bel disco di 10 tracce di romanticismo nichilista alla Tre Allegri Ragazzi Morti o un audio book da divorare o un discorso teleologico ed astrale sull’umanità, nella lotta tra i due massimi antagonisti: il Dio della perfezione ultraterrena ed il Satana-Dio del mondo terreno. 
Tutto questo in un disco di reduci ventennali della scena punk italiana? Sì, tutto questo.  
Tutto questo in un disco che andrebbe ascoltato al contrario, dall’ultima traccia alla prima, come la filosofia Satanista impone? Sì. E già qui iniziamo a capire tante cose.  
Ketsuekigata innanzitutto è una parola Giapponese, dagli studi del Professor Takeji Furukawa sui gruppi sanguigni, sulle vibrazioni che persone con lo stesso sangue emettono alle stesse frequenze. E di sangue e di frequenze potremmo già iniziare a dire su quest’album. 


La copertina, a cura di Alessandro Della Santa, è un pianeta creato con cera, vino rosso e sangue. Quest’ultimo – nella metà destra – va a creare la figura della donna, gravida, dalla quale veniamo ed alla quale vorremmo ritornare sempre. Questo il sangue.  
Sotto ai pezzi fa da sottofondo il rumore delle vibrazioni dei pianeti del sistema solare. Ognuno ai suoi hertz, ognuno con la sua tonalità: la stessa degli accordi delle canzoni che vengono suonate dentro queste frequenze, in base al pianeta rappresentato dal pezzo. Queste le frequenze. 
 
L’album parte – tra il suono di Urano ed il profondo Synth – con “Fringe”, pezzo in cui il trio Nisseno ci immerge nella profondità del sound del disco. 
Sono riconoscibili fin da subito le incursioni cinematografiche che risalteranno nei loro giusti spazi (mai a caso) tra i pezzi e quel romanticismo nichilista di cui sopra, ma si hanno già i primi indizi della complessità intrinseca di “Ketsuekigata!”: due mondi, uno rosso ed uno blu – espediente usato da J.J. Abrams proprio per le sigle di “Fringe” nello switch tra gli universi d’ambientazione della serie TV – tingono quest’album dell’equazione del disco: Il Punk Rocker : Ragazza = Lucifero : Dio.  
Sarà proprio Lucifero – voce di “Codice Rosso”  ad interloquire con Dio/Ragazza su quelli che non sono nient’altro che tanti atteggiamenti umani che non giudica, ma osserva. Di come dice la guerra ed odia la pace soltanto per vedere le cose per quelle che sono davvero: attraverso la prova massima del libero arbitrio (a cui tanti, da Daniele al protagonista senza nome di Fight Clubdevono sottoporsi), ecco il premio della verità. Tyler, voglio che mi ascolti: ho gli occhi aperti.   
 
Ora che vediamo bene, attraverso una grande abilità compositiva cruda, all’antica, vera – il giusto giro di accordi, il giusto cambio – i Gattini si fanno capire da chi ascolta per davvero e gli mostrano quelle esperienze proprie e di tutti, che hanno vibrato e vibrano ancora, al di fuori dell’individualismo. Storie che riusciamo a ricordare mentre vengono cantate. Così succede che nelle quattro di mattina in cui viene composta la preghiera acida “Eroina Rendez-vous” il protagonista ci prende per mano in una città vuota, di luce fredda, automatizzata dall’inganno di una generazione – quella del punk/new wave italiano degli anni ‘’90 – perso nella propria memoria collettiva.



Ok, va bene. Ho divagato, sapevo sarebbe successo. L’effetto di questo disco è proprio questo. 
 
Siamo a metà album. Due pezzi: “Distacco” e “Lucca”. Mercurio e Venere. Un cuore che batte velocissimo nella prima diventa lento e grosso nella seconda. Nel primo parte propulsiva dell’azione è lui e nel secondo lei, schiavi di due tipi di sangue che per il Professor Fukurawa (quello di prima), non riescono a vibrare bene insieme. Queste due canzoni, unite, sono un capolavoro: il distacco emotivo e subito dopo quello meccanico. Quale dei due è più reale dell’altro? Nessuno. Sono veri entrambi, certo che lo sapete: prima capisci che è finita, poi fai le valigie. Sono due momenti fratelli, figli uguali ma per funzione e sentimento diversi. Zero positivo e zero negativo. Tutti e due, nel proprio ordine, portano alla guerra: “Bukowski”. Canzone sulla guerra sentimentale. Il Dio della guerra? Marte. Ed indovinate un po’ quale pianeta fa da base a questa canzone con la sua frequenza? Esatto. 
 
E dopo la guerra, l’analisi della sconfitta: veloce, di appena un minutoetrentanovesecondi“Cimitero”. Ukulele e voce. Un messaggio in segreteria, registrato – per davvero – con un mangianastri. Nel bel taglio sonoro dell’album, questa perla lo-fi non può che trovare risalto.  

 
L’ultima canzone, la title track Ketsuekigata!”, se avesse aperto il disco – Daniele al telefono me lo ha spiegato per bene il discorso sulla lettura al contrario dell’album – avrebbe avuto lo stesso effetto dirompente che ha “Tommy Gun” dei The Clash, con la carovana sonora della band che buca lo stereo e travolge l’ascoltatore: Siamo arrivati, vaffanculo. Per come la vedi tu, per ultimi. Ed Invece ci siamo sempre stati. Dentro di te. Fammi uno squillo quando lo capisci, noi siamo già passati.  
 
L’album è finito. Ovvero è iniziato. 
Quindi bisogna cercare di fare una summa di tutto questo delirio sconnesso di recensione. 

 
Abbiamo capito che “Ketsuekigata!” Parla di sangue. Oltre a questo, di vibrazioni e frequenze. Abbiamo scoperto che tutto quest’album è il contrario di ciò che un primo ascolto potrebbe far trapelare. 
Abbiamo scoperto che se siete, ad esempio, di gruppo sanguigno 0, quando incontrerete un altro 0, vibrerete insieme.  
Abbiamo scoperto che “Ketsuekigata!” è la perfetta fotografia di un album semplice, ma di certo non facile, che raggiunge il suo obbiettivo di farti perdere la bussola e farti uscire dall’ascolto con molti interrogativi inconsci, ma un po' più felice. 
Abbiamo scoperto che Avatar di James Cameron è la storia del mondo, se letta al contrario. 
Non ci avete capito un cazzo, vero?

  

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