TEMTÖ TUNES: VERBENA. E NO, NON È SCRITTO SBAGLIATO.

 



di Saverio Marasco

 

I Verdena, che cazzo di viaggio.

Due fratelli, dalla fredda e rurale bergamasca di fine anni 80". ‘Sta tipa, la più figa di tutte già solo perché suona il basso.

Molto di più.

Ben prima dell'exploit provinciale delle lande desolate di Vasco Brondi & Co. (anni ‘10, sembra un così remoto ricordo), la provincia vera era un maglione abnorme e slabbrato, il più delle volte da lavoro.

Enorme e semplice e sporco da fare schifo.

Verbena. Il primo nome sul primo EP di Alberto e Luca, col sogno della rockstar in casa.

Poi l'esplosione del punk rock e del rumore e della musica.

Qualsiasi ritmo, basta che esca fuori pestato fortissimo.

I paragoni, i Nirvana italiani.

Questa, forse, l'accusa - o la minaccia - che fin dalle prime apparizioni televisive aleggiava su quei 3 ragazzini scapestrati.

Parliamoci chiaro: in alcuni primi e sbrilluccicanti momenti ci hanno provato a fargli mettere quel costume - vedi i primi live ad Odeon TV - ed a volte pare ci abbiano pure creduto loro stessi.

Ma parliamoci ancora più chiaro: i Verdena sono stati lì - e sono ancora qua - perché sono gli unici in grado di farlo. Imperfetti e sgraziati.

Un quadretto dalla valle fatto da spogli muretti di cemento, umidi di montagna. Eccoli i Verdena.


Se nel ‘99 poteva essere la claustrofobia della provincia ad accendere la miccia dei Verdena, la loro maturità – già presentissima all’epoca – è quello che ora ne contraddistingue il sound. La saggezza dei luoghi sperduti, la naturalezza dei tempi calmi del bosco.

Da un certo punto in poi questo è diventato l’aspetto fondamentale del gruppo, con l’autoproduzione a cura dello stesso Alberto. Questo è stato lo switch che ha permesso alla band di tuffarsi nella ricerca sonora e nel tempo, dilatato, tra un disco ed un altro. Sempre più spazi psichedelici.

Il suono, è sempre stato quello! Soprattutto nei Verdena. Le canzoni? Solo una scusa fatta benissimo.

Un percorso che si è allargato così tanto da portare a "WOW" (2019, Black Out/Universal) ed, infine, agli "Endkadenz" (Vol. 1 e 2, 2015, Black Out/Universal).

Ricordo un Rolling Stones dell'epoca - pietà, era il IV o il V ginnasio - con una loro intervista in cui parlavano proprio di “WOW”. Roberta diceva che, dopo un incontro con l'etichetta, svelarono ai gregari di quest'ultima che sarebbe stato un doppio disco sui 30 pezzi.

CANZONE CONSIGLIATA E CHIODO FISSO DEGLI ULTIMI MESI: "Miglioramento".

LINK 


Ma veniamo ad adesso. Arriviamo a “Volevo Magia”.

Questo è il nome scelto per l’abnorme neonato, rimasto in gestazione per sette anni.

Sette anni in cui la magia dei Verdena non ha fatto che aleggiare nella musica alternativa italiana,

È innegabile che “Volevo Magia” sia stato cresciuto, in quel grembo familiare, con i suoni rincorsi per anni dai Verdena e che loro stessi hanno contribuito a definire. Il neonato, è finalmente un sunto di tutto ciò che di bello hanno saputo fare nel tempo i suoi genitori.

Appena uscito, però, mi era scivolato davanti quasi afono. Ma i dischi montani, abbisognano di tempo.

E poi di colpo, minuto dopo minuto, fanno parte di te.

Chaise Longue”, la prima, apre il disco in gentilezza. Il singolo dell’album è una ballata psichedelica.

Dolce. Tagliente. Verbena.

Suonano immensi, ma si ha l’impressione che i Verdena si siano fatti piccoli davanti a qualcosa. Sarà l’età?

Suonano freschi, ma privati. Va bene.

Un ritrovato abbraccio per quelli a cui mancavano.

Paul e Linda”, incantevole. Tra i pezzi da suonare, stranamente, al massimo volume. Una ballata ubriaca e dolciastra di mosto. “CAZZO VEDO BLU!” sarà un inno dei Verdena del futuro, a questo punto lo si spera.

Sarà colpa delle frequenze basse, che si mangiano tutto: gravi, grevi, impressionanti laddove esplodono. Il trio è padrone di queste frequenze in pezzi come “Pascolare” o “Crystall Ball”.
Il suono del futuro, sempre. È questo che andiamo cercando e che, grazie anche ai Verdena superstiti dai 90’s, è arrivato fino a noi,

I fratelli Ferrari, soprattutto e genuinamente, riportano tutto quello che hanno suonato in questi lunghi anni di pausa: il batterismo degli Animatronic ed il groove sporco degli I Hate My Village. I Dunk.

La migliore selezione dei loro estri più fiammanti.

PEZZI CONSIGLIATI: Crossing” – Animatronic; Yelloblack” – I Hate My Village; “Stradina” – Dunk.


Musica dura, grezza. Muretti di cemento. Evocativi.

Adulti.

Crystall Ball”, già ne parlavo prima, una delle cose più profonde e pesanti che mi sia capitato di ascoltare ultimamente. Il suono dei sogni. Gli stacchi dei sogni. Una via, seminale, riversata negli strumenti. E poi lei, la title track. Infernale. Hardcore. Zero chiacchiere.

Se erano i Nirvana italiani, hanno definitivamente raggiunto il loro “In Utero”.

Con finanche le sue ballate, sognanti ed affumicate, che ne impreziosiscono l’aura sentimentale.
Un disco casalingo, unitario ed intimo per atmosfera e selezione musicale. Come se Alberto, Luca e Roberta avessero selezionata tutto il meglio della loro vita sonora e non, riversandola con affetto in microfoni schocciati alla meno peggio: com’è sempre stato e sempre sarà.

I pezzi migliori, quasi b-sides in questo album lungo (che arriva in questi tempi veloci), sono genuini esemplari di canzoni: “Cielo super acceso” e -la mia preferita- “Sino a notte (D.I.)”.

I Verdena, come in realtà costantemente nel loro percorso, hanno la loro forza ed il loro significato in quello che ascoltiamo: suonare all’imbrunire, in saletta. Piano e grevi, o veloci e sporchissimi. Con amore. Arrugginiti, nell’unico senso del gusto per un suono crepato.

Nostalgia, rancore, empatia: tutto accettato e tutto addosso. Questo è quello che ci piace: il fatto che, in fondo, suonino ancora come piace fare a noi, ovvero gridando, rimpiangendo, sbattendo.

Ed, ancora oggi, voglio suonare esattamente come loro.

Cazzo, vedo blu.

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Vignetta di Giacomo Capolupo



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