TEMTÖ TUNES: "SPARE RIBS" DEGLI SLEAFORD MODS

 


“When did I get so fucking down on my knees?”

La rabbia è un’emozione meravigliosa, capace di evocare una cupola intorno a chi la esprime, escludendo ogni input esterno e isolando ogni sensazione, amplificandola ed esasperandola. Oppure puoi essere gli Sleaford Mods, e utilizzare la rabbia in maniera giocosa, declinandola sapientemente su un groove dissonante fino a coinvolgere chiunque abbia le orecchie e la mente aperta. Ascoltando il loro ultimo lavoro “Spare Ribs” (2021, Rough Trade Records), Temtö si è ritrovato ad incanalare un concentrato di rabbia working class talmente pesante da essere pericoloso. Nella fattispecie, ascoltando questo album in cuffia mentre facevo la spesa, ho risposto “che cazzo vuoi?” a un signore che mi chiedeva di farmi più in là con il mio carrello. Insomma, disobbedienza civile (anche se poi ho chiesto scusa al signore).


“I wish I had the time to be a wanker just like you, and maybe then I’d be somewhere lovely and warm just like you”

In un album che rappresenta l’abbandono totale dell’estetica formale, troviamo beat asciutti fino all’inverosimile, che a volte si limitano veramente ad una drum machine e un basso gonfio e cattivo. Su queste tracce crude, dissonanti e graffianti troviamo una voce talmente sui generis da risultare difficile da ascoltare. E’ un album che non fa per tutti e lo sappiamo, bisogna abbandonare ogni pretesa di musicalità e meditare su cosa significa avere un groove costruito a perfezione che ti penetra nelle ossa e ti fa ballare e pogare e concentrare unicamente sul testo. Non c’è spazio per riflettere su progressioni di accordi (che non ci sono), strutture di arrangiamento (che non ci sono) o vezzi estetici (che sono del tutto assenti). Questo sound rappresenta una critica a tutto quello che è estraneo all’essenziale, permeato da un’ironia self-deprecating che non lascia ostaggi. Del resto non si può prendere sul serio lo stile canoro di Jason Williamson, e allo stesso tempo non si può che trascinarlo in piazza e adorarlo come un nuovo profeta. E’ fortissimo l’impatto della sua voce abrasiva, con rigoroso accento east-midlands, tamarro e cattivo, ma anche sincero, e della sua critica amareggiata e incattivita riguardo il mondo British nel suo periodo di austerity, con le sue contraddizioni e i suoi formalismi. Come dicono gli stessi Sleaford Mods: “We ushered in a new way for indie bands to sing and approach their music, and now we regret it”.


“You're just a mind that's spraying and praying on walls/
And the after effects are making my skin crawl”

Non è facile ascoltare un disco così viscerale e ripetitivo, a meno che non si riesca ad apprezzarne proprio queste caratteristiche. Non c’è alcuna vergogna nel modo in cui i Mods mantengono costante un ritmo alienante e martellante, specialmente considerando il modo penetrante e intransigente in cui lo fanno. 

Hanno definito il loro sound come “electronic munt minimalist punk-hop rants for the working class”, e noi non vogliamo aggiungere altro. Williamson utilizza un sacco di parolacce, ma ci ha tenuto negli anni a dire che lui parla così, “[it’s] not just fucking swearing”. Del resto, il suo “sprechgesang” è a metà strada tra una slam poetry e un comizio politico, il tutto condito dal suo accento tipico di Nottingham e da un’attitudine derivata direttamente dai movimenti mod da lui tanto amati. 

Il primo ascolto di questo album sarà difficile, lo sappiamo. Ma ogni ascolto successivo rivelerà qualcosa, ed è un album che nella sua semplicità apparente contiene moltitudini. Ci sono canzoni di frustrazione, canzoni di scherno, anche canzoni come “Nudge it”, che possiamo dedicare a qualcuno che disprezziamo amorevolmente e incolpevolmente. Vogliamo consigliarvi questo disco perché pur potendo vantare milioni di ascolti sulle piattaforme di streaming non è sicuramente un prodotto pop, e ci teniamo a consigliarlo ai nostri ascoltatori. E’ un album con un sound divisivo, lo odierete o lo amerete, ma non rimarrete indifferenti. Del resto, purchè se ne parli…

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