IL FIUME SCORRE SEMPRE DUE VOLTE: “SUERTE” DI BANADISA
by Davide Caligiuri
Una proprietà potente della mente umana è quella di creare associazioni, legami tra cose apparentemente lontanissime, fili che legano due mondi e che nel processo rivelano caratteristiche, o punti d’attracco, fino a quel momento mai notate in entrambi.
Suerte di Banadisa (Diego Franchini), uscito nel 2021 per La Tempesta Dischi \ Believe, è fondamentalmente questo: una serie di fili che legano l’America Latina e il Delta del Po e che mostrano tutti i tratti magici e inaspettati di entrambi: come un fiume surreale che si ripete due volte, tutto ciò che appare ri-appare, trasfigurato, eppure se stesso. Forte dell’esperienza con l’Istituto Italiano di Cumbia, Diego sfrutta la sua esperienza per costruire una storia molto personale, e deliziosamente ballabile.
Riva del rio apre il disco mettendo subito in chiaro la metafora che regge il disco; il tutto condito con una base che pesca a piene mani dalla musica latinoamericana (che io mi rifiuto di fingere di conoscere per essere più puntuale nell’analisi) e dall’elettronica, creando un sound avvolgente e misterioso.
Montana Negra switcha su un sound principalmente acustico, che finisce poi per alternarsi con sonorità elettroniche a iosa. Il risultato finale è un pezzo vagamente nostalgico, di un qualcosa che però sembra non esistere nemmeno. Un pò come desiderare indietro il mondo vissuto all’interno di un sogno.
2121 come il precedente pezzo calca la mano sull’acustica, mentre l’elettronica rimane solo un supporto, una “sotto-struttura”; singolone reminescente di certo indie italiano della prima ora, il testo racconta una realtà magica, sospesa tra i bassifondi di una favela e un grigio quartiere del basso Veneto.
Trencitas de Oro è un pezzo tutto groove e tutto latino, ma proprio per questo è meno interessante degli altri: manca quella dicotomia che si lega al tema dell’album. Ottime basi e sound che ricorda Populous.
Vita tradisce un debito a Beirut come autore: chitarrina che supporta una breve narrazione di una scena mediterranea, rilassata e luminosa. Se non fosse per la lingua italiana, sarebbe difficile distinguerli.
Cumbia nella nebbia è una variazione interessante, tutto dub, ricchissima di spunti interessanti e che ricorda un po ' anche i lavori dei Ninos Du Brasil.
Fagiano è un altro pezzo parecchio interessante: le solite sonorità ispirate alla cumbia fanno da supporto per una visione quasi romantica, magica, del Polesine e delle zone in cui Diego è cresciuto. Il canto del fagiano diventa simbolo del ritrovato legame con una terra che sembra aver dimenticato il suo valore al di là delle fabbriche e dei palazzi grigi.
Popà son tanto stanco si inserisce bene nel discorso iniziato da Fagiano: un canto tipico veneto che racconta una storia di sfruttamento e sofferenza. Il sarcasmo implicito di un canto veneto che per temi e idee ricalca quelli dei creoli e degli schiavi africani portati in Sud America dai colonizzatori è penso evidente, e lascia un sorriso che più che amaro è di rivalsa. Come sempre, arrangiamento semplice ma efficacissimo.
Dimmi dov’era - Abbracciato a una nutria è una fiaba sognante, un racconto di una figura misteriosa che vive sul fiume, e che ricalca un pò quel realismo magico di tanti autori nativi indigeni. Il pezzo poi, musicalmente, è una ballata rilassata ma sempre ritmata.
Cumbia del Bendito segue la linea di Cumbia nella nebbia e Trencitas de Oro: influenza latina assolutamente preponderante e una ritmica avvolgente, che accompagna una narrazione in castellano che però forse spezza un pò troppo la canzone.
Campo è un treno strumentale dove tutta la competenza compositiva e tecnica di Diego spuntano fuori, creando un paesaggio sonoro anche senza nessun racconto: un’ulteriore variazione molto, molto gradita.
Mercado è il pezzo forse più psichedelico del disco, dove le ritmiche diventano imponenti e trainanti, quasi epiche: la semplice descrizione di un mercato-Babilonia, fra fumi, suoni e odori, diventa un’esperienza a sé, incredibilmente intensa.
Tirando le somme, “Suerte” è un disco prima di tutto personale: Diego racconta, senza mai essere esplicito, il suo rapporto col Polesine e la sua storia, che più che biografica è espressionista, serie di immagini e sensazioni che non possono separarsi dal personaggio di Banadisa. I richiami, o più che altro parallelismi, si possono fare, a nomi già fatti come Ninos Du Brasil piuttosto che Selton. Tuttavia, si tratta di nomi minori, e forse ciò che si percepisce è più che altro una certa assonanza nelle scelte e nei gusti alla base del progetto.
Musicalmente, le idee son tante, ben eseguite, e mostrano una grande padronanza sia del mezzo canzone, sia della composizione nel senso più libero del termine
Quello che più risalta alla fine è proprio l’aspetto personale, e l’interpretazione data ad esso da Diego: la dimensione magica, a volte allucinata a volte iperrealista, che circonda un luogo semidimenticato ma mai dormiente come il suo Polesine: attraverso la conoscenza del mondo esterno, come una lente che riflette sé stessi, viene rivelato un mondo che sembra più reale del reale, nel suo non-essere-lì.
Le sue principali qualità son penso il riuscire ad esprimere una forma musicale particolare, non per forza immediata o facile, in una modalità fruibile a tutti: anche per questo, penso sia un disco che chiunque possa apprezzare, e che chiunque dovrebbe provare ad apprezzare.
Lo seguiremo con attenzione.
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