LA TONICA AFFERMAZIONE DI SIGNIFICATO DEI SOLARIS: “UN PAESE DI MUSICHETTE MENTRE FUORI C’È LA MORTE”



 

di Nat Vescio 

 

 

Io non so come sono incappata in quest'album ma è stata senz'altro una delle migliori scoperte da quando scrivo su questa webzine (e fortuna che c'è stata!). 

Non sono sicura di ricordare la mia espressione nel leggere il titolo – che si rifà ad una frase dell'ormai amatissima serie tv nostrana Boris – ma sono stata invasa da un coinvolgimento tanto mentale quanto spirituale fin dal primo ascolto. 

L'impatto, dunque, è forte: scorre con grande impeto, accarezza alcuni miei impulsi e infonde curiosità. 

Più tardi capirò che Solaris è qualcosa di maestoso che imperversa nelle cuffie di chi vuole ascoltare. 

“Un paese di musichette mentre fuori c'è la morte” è la prova di forza. 

 

Nelle fotografie non sempre dominano silenzio e vuoto: spesso sviluppano frastuono, urla di dolore e rumore di fondo quasi assordante, talvolta anche speranza. 

La copertina è uno scatto in bianco e nero a cura di Andrea Zanni che, con assoluto valore, riesce a coniugare bene fotografia e suono mentre la presenza umana si materializza attraverso le sue azioni. 



 




Registrato e prodotto da Martin Bisi (noto soprattutto per aver registrato importanti dischi di Sonic Youth, Swans, John Zorn, Helmet e tanti tanti altri ancora) al Duna Studio di Russi e masterizzato da Fred Kevorkian al Workshop Studio di Brooklyn (NYC), esce il 19 giugno 2020 per la Bronson Recordings il debut album del quartetto cesenate dei Solaris, che sono Paride Placuzzi alla chitarra, Lorenzo Bartoli al basso, Alberto Casadei voce/chitarra e Alan Casali alla batteria. 

 

Cantato in italiano, come solo pochi hanno il coraggio di fare in questo genere, ha il vanto di sapere bene dove mirare e cosa colpire con maestria e capacità musicale. 

La prima traccia è una preparazione fisica e mentale per dare la carica nonappena scatta il “via!” per giungere all'agognato “Podio”. 

Diventa un piacere fare la tua conoscenza, cara e preziosEzikmundrek! Appena ascoltata non ho neppure badato alla regola del “è solo il primo ascolto, non vale!”. Qui vale. L'atmosfera ti assorbe fin da subito e ti fa sua. Delicata inizialmente e massiccia in seguito, si lascia assaporare con gusto fino all'ultima goccia. 

“Oro” è esattamente come il titolo: un metallo di transizione tenero, pesante, duttile e malleabile. Inizia con una fervida invocazione rivolta a Dio per poi continuare un percorso sempre in salita, passando da ritmi incessanti ed ossessivi per poi aprirsi e accecarsi dal bagliore del metallo nobile. 

Introspezioni sofferte e suono abrasivo fanno da cornice a “Voce”, mentre il ritmo preannuncia la tanto cruda aggressività che si toglie fuori urlando, sfogando e sfociando nell'armonia di un theremin che ci conduce verso un colossale muro sonoro in duetto tra batteria “spaccaossa” e chitarra che vola verso spazi siderali. 

La strumentale “Maledetti” coi suoi echi e riverberi ci introduce Marnero: un'esplosione di suoni che varia d'intensità, tessiture soniche e stati turbolenti che riversano in stati trascendenti. 

 

Un viaggio al di là dell'esperienza sensibile e della percezione fisica e che, senza timore alcuno, ci lascia alla nostra vita e riaccompagna alla nostra esistenza. 







 

Descritto come noise rock ma che al cui interno si svelano miriadi di generi musicali e raffinatezze stilistiche che gravitano dal post-rock al grunge, dalle influenze 90's fino alla sublimazione post-core/screamo, con sprizzate stoner e doom. 

 

 

Forza, piuttosto che velocità. 

 

Testi emblematici, drumming possente e imprevedibile, accordature abbassate all'estremo: non urla rabbia ma è una tonica affermazione di significato. 

 

Questa è l'Italia del futuro: un paese di musichette mentre fuori c'è la morte. 

 

Una descrizione molto reale dell'Italia di oggi, concretizzata in modo impeccabile dagli atmosferici e monolitici Solaris. La musica la fai davvero e con carattere. 





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