LIMERENCE & PSYCH FOLK: Topsoils, degli Year Of Taurus
di Davide Caligiuri
Avete presente quella sensazione di nostalgia,
spesso indefinita, a volte come un velo sugli occhi e a volte come una coperta
sulle spalle? Quel sentire un vago calore, un qualcosa che apre porte da cui
escono cascate, che trasportano storie ed eventi che pensavi di aver
dimenticato o sigillato lontano?
Quella sensazione è Topsoils, disco d’esordio degli Year
Of Taurus, progetto solista di Matteo Dossena (già metà degli psych-rockers
Sherpa); fra le prime uscite per
Astral Concrete, questo dico è un ricco ricamato di ricordi e sensazioni,
realizzato con un sapiente intreccio elettroacustico; un chamber folk
arricchito da tocchi psichedelici e trovate che strizzano l’occhio allo
shoegaze.
Se Mark Kozelek e Robin Pecknold sono nomi che
avete già sentito (o Sun Kil Moon e Fleet Foxes, rispettivamente), potete
iniziare a immaginare di che si tratta; intrecci di chitarre acustiche semplici
ma mai banali, che si sviluppano lentamente fra brevi droni e lenti sviluppi,
supportando un cantato forse un po' affogato nella produzione, ma che riesce
comunque a trasmettere una sensazione di etereo, lontano. Matteo e il resto
della band non han bisogno di chiudere il pezzo di corsa: si prendono il tempo
necessario a sviluppare ogni singola idea, senza doverla esageratamente
adornare, ma anzi riuscendo a mantenere un sound sobrio, ma non asettico, e
raffinato, ma non barocco. Pochi dischi mi han dato l’idea di “giusto
equilibrio” come questo.
Il debito musicale al percorso portato avanti
con gli Sherpa si fa molto sentire: le chitarre dal gusto southern, le lente progressioni, e in generale la vibe che prende a
piene mani dal rock psichedelico e dal doom meno oscuro. Alcuni inserti
particolarmente carini (uno su tutti, l’intro di Piedi nel lago) spezzano, così come la dominanza di uno strumento
acustico e una certa, maggiore attenzione verso la melodia; tuttavia, penso di
poter affermare con sicurezza che se fosse uscito a nome Sherpa nessuno avrebbe
notato nulla di strano.
La produzione ottima, riesce a dare quel tocco
di etereo e vibrante senza affogare i singoli strumenti più del necessario. La
voce forse viene un po' persa nel tutto, risultando più uno strumento di
contorno come altri, ma mentirei se dicessi che non risulta comunque piacevole
all’ascolto.
Gli arrangiamenti, che come sempre son la parte
che più mi affascinano, sono come già accennato “equilibrati” più di ogni altra
cosa: pezzi aperti o da campionamenti, o da accoppiate acustico + background
discreto, che tendono a svilupparsi in strutture non troppo elaborate ma ricche
di sfumature. Ritmiche semplici ma estremamente espressive (mi han ricordato in
alcuni pezzi i The For Carnation) accompagnano un cantato vagamente ipnotico,
che diventa più una componente del tutto (come un bordone) che non un elemento
esterno e sovrimposto, come in genere è più comune usare il cantato. Scelte
stilistiche non banali, dove la difficoltà sta nei dettagli e nella cura
applicata.
Topsoil apre in maniera rilassata e poco appariscente il disco, lasciando subito spazio a Wise Woman, un pezzo che i Red House Painters sarebbero stati orgogliosi di aver scritto.
Fever,
When I Was Young invece ha un chiaro vibe southern country,
senza però uscire da quella che a questo punto già si delinea come esprit del
disco, e che ho già delineato in precedenza per quella che è la mia
comprensione. Linesight continua
dove il pezzo precedente lascia; invece Gate
Ghosts cambia le carte in tavola, risultando in quello che penso sia uno
dei pezzi più riusciti del disco, sia a livello di atmosfera, sia a livello di
arrangiamento: forse perché è quello che più di tutti sembra spiccare dalla
sensazione di slumber e nostalgia, come un ricordo particolarmente affilato o
un monolite in mezzo alla foresta. Tethered
to the Stars riprende un po' l’atmosfera di Wise Woman, mentre Daddy più di tutte diventa un’incredibile
trasporto ritmico, una pulsazione più che un pezzo.
Piedi
nel lago è il pezzo conclusivo e il più atipico: sia
per essere l’unico cantato in italiano, sia per lo stile scelto, che in
atmosfere e in sonorità ricorda molta psichedelia anni ‘60 e, in alcuni punti,
anche molto prog classico. A differenza di Gate Ghosts, che era forse quello
che più spiccava nell’atmosfera complessiva, Piedi nel lago si presenta quasi
come su un tracciato parallelo, un po' la luna col sole.
Nel complesso, a viaggio finito, mi sento di
dire: potrebbe non essere il disco che vi cambia la vita, o il disco che vi
sconvolgerà con trovate uniche e originali; ma è sicuramente un disco che, una
volta sentito, con attenzione o di sottofondo nelle mille faccende quotidiane,
vi ritroverete a riascoltare, e riascoltare, e riascoltare.
Penso che Topsoils
rientri in quella categorie di lavori che non esaurisca mai davvero la sua
carica e il suo effetto, in cambio non salendo mai fra le proprie ossessioni
musicali se non dopo anni, quando se ne riconosce la longevità.
Se apprezzate questo tipo di lavori, e anche
voi desiderate sentire qualcosa che possa facilmente accogliervi senza
assorbirvi e consumarvi, ma accompagnandovi dolcemente e lasciandovi andare
senza colpo ferire, allora dategli una chance. Potreste aver trovato un nuovo
guilty pleasure, o semplicemente scoprire un ottimo disco fatto da ottimi
musicisti.
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Per Conoscerl/i Meglio ➡ Year of Taurus | Astral Concrete
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