BUTTARSI IN UNA PISCINA PIENA DI COLORI: ACARO, Vol 1 – IL DISCO FLUIDO DI ACARO
di Saverio Marasco
Devo partire con una premessa necessaria: io, del
genere di ACARO, artista bergamasco classe ’93, non ne capisco niente.
Però l’ho ascoltato, e mi ha preso. C’è qualcosa che non va? Dovrei bruciare i
miei dischi dei Led Zeppelin? No vabbè, quello mai.
Però questo “ACARO, Vol.1”, disco d’esordio di sto ragazzo che si
chiama Riccardo per una label solida e compatta come Costello’s, è una cosa
che non avrei dovuto capire ma che, nonostante ciò, ho apprezzato tantissimo.
A quanto leggo dalle informazioni sul disco, il
genere si chiama Urban. La Città,
grigia, viene colorata dai suoni di questo disco. Non so se è corretto, ma al
fianco di suoni moderni, ormai familiari al mondo mainstream, c’è tanta bella
roba grezza, anni ’90, ma con poesia. Forse la poesia nei testi è proprio la
cosa più strana: da esterno, sono abituato ad ascoltare queste sonorità
accompagnate da testi scialbi, egocentrici, da sbruffoni.
Qui, invece, in questo tripudio di colori, c’è un ragazzo che sa scrivere delle
cose, delle emozioni, della sua vita. Vecchia poesia e suono nuovo. “Katane”, il pezzo d’apertura, mi
trasmette subito dolcezza, empatia. Un piglio soul.
Mi voglio esibire, mi devi guardare. Ma di quell’egocentrismo sciagurato di cui
sopra, non ce n’è traccia nel modo in cui lo dice ‘sto ragazzo.
Riccardo, in un tripudio di colori ancor più forte, riesce in “Hikikomori” a creare similitudini
bellissime con un fenomeno grigio, chiuso, senza luce, come quello
dell’isolamento volontario che dà il titolo al brano.
Non riesco a non andare su e giù con la testa. La
capacità descrittiva di ACARO si ingigantisce ad ogni secondo. Un grande
storytelling. Forse inizio a capire meglio questa parola, “Urban”. Ed immancabilmente la riporto alla mia confort zone:
l’urban sarà mai descrivere il mondo oggi, in una città? E cavolo, perché penso
al Folk allora?
La traccia successiva – “I Ghepardi” – se fosse suonata da una band in un live club, mi
ricorderebbe un grande gruppo che si chiama We Are Waves. Questo pezzo porta con sé tutta la gioia dei
falliti. Il testo forse incarna tutto il significato del punk 77. E torniamo per la seconda volta nella mia
confort zone.
La musica è curata ad un livello straordinario: ogni
suono, ogni stacco, ogni notina è pitturata nel suo giusto spazio in questo
disco. La produzione super di Georgie
boy (Giorgio Assi) riesce a concludersi nella direzione del singolone fatto
bene. Per me, finora, il sunto di questo pensiero è “Mangio”. Non so il perché – e non penso di sapere molti, di perché,
in quello che sto scrivendo qua – ma la immagino in radio, senza nulla da
invidiare alle cose simili che si sentono. Unica differenza? La cura, il dettaglio, la ricerca sonora:
questo fa davvero la differenza. Suoni così grezzi e così delicati insieme,
sono la magia di ACARO.
“Non
ballo” invece ha un groove incredibile. Sembra di essere
in un vortice di suoni che ti avvolge dentro ‘sti testi strani ma studiati, mai
banali. Di nuovo tutti quei maledetti piccoli dettagli, che rendono l’ascolto
in cuffia di questo disco sia una bellissima caccia al tesoro che un’esperienza
formativa per qualsiasi musicista o addetto ai lavori.
Ma è con le grezzissime chitarre bagnate da un
grezzissimo chorus che il mio orecchio si innamora.
La maniera più dolce possibile per dire di voler tornare a stare male, bere,
vomitare, ACARO ce la racconta in “Baby
Goodbye”.
Si tratta innegabilmente di quel pezzo perfetto per mandare quel messaggio
giusto, a quella persona là, nelle stories su Instagram.
Il mondo ora fa così, ACARO lo sa, possiamo
fargliene una colpa? No. P.S. I CORETTI DI QUESTA CANZONE SONO TUTTO, ADORO.
Siamo quasi alla fine e finalmente, tramite “Condor”, capisco il giusto aggettivo
per quest'album: Liquido.
Ti scivola addosso. È sensuale, è caldo, è elegante. È cangiante nelle
incertezze di ACARO. Si potrebbe scomodare per ore il signor Bauman con il suo
concetto di società liquida per questo disco. Ha un sound così enorme che ti ci
puoi buttare come se fosse un’enorme piscina olimpionica di colori. Tutto si
scioglie e si ricompone, senza slegarsi. Ripeto: in cuffia è uno spettacolo.
Però per chiudere dobbiamo anche un po’ divertirci.
E sta grezzata di “Sexting King” non
può farti stare fermo. Qua non sto neanche ascoltando la canzone: è solo ritmo
puro. Tribale. Senza un fine se non muoversi.
In aggiunta chiudiamo il disco con una frase che riecheggerà nella testa: “siamo scimmie a cui servono i soldi”.
Una cosa bella da notare in questo lavoro, è come i
testi si richiamino tra di loro. La finezza dei piccoli rimandi tra un pezzo e
l’altro, nelle liriche, è esemplare. Un’altra sono le volgarità, dette così
bene ed in maniera così pura e contestualizzata, che è impossibile non farne un
pregio.
Un’altra sono io, che sono uscito dalla mia confort zone rientrandoci mille
volte.
L’ultima è il mio essere sopravvissuto allo scrivere questa recensione: lo
staff del Cinghialozzo, ACARO e Costello’s sanno perché.
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Per Conoscerlo Meglio ➡ ACARO | Costello's | The Orchard
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