UNIVERSO COME IO PERSONALE: “ROTAZIONE RIVOLUZIONE”

 


di Davide Caligiuri


Ci sono molti modi di parlare di temi personali, intimi: c’è chi li riversa senza filtri, chi li astrae nell’arte e nel simbolismo, chi li esprime attraverso elaborate metafore.

I Malmö, quartetto di Caserta, si trovano sospesi fra questi ultimi due: da un lato, la loro musica, che vuole evocare nella nostra immaginazioni visioni del cosmo e della natura, e dall’altro i loro testi, poetici e sognanti, ma mai troppo lontani dalla realtà.

Un connubio interessante! Esploriamolo assieme.


Rotazione Rivoluzione, uscito questo inverno per XO La Factory, è un disco in parte atipico: mescola quello che a prima vista sembra semplice rock all’italiana, debitore forse a gruppi più mainstream di quanto ci si possa aspettare, con un chiaro amore per il post-rock, genere principalmente strumentale e dominato da lunghi crescendo e un senso di grandeur e stupore che travolge di emozioni l’ascoltatore, anche senza trasmettere un concetto preciso. Qualcosa di molto intimo e personale; loro lo riflettono nelle loro composizioni, che pur mantenendosi spesso nei canoni del classico pezzo rock (intro – strofa -ritornello and so on and so forth), richiamano nelle melodie e nelle atmosfere nomi come God Is An Astronaut, Mogwai, Explosions In The Sky.

Buchi neri apre il disco: l’intro del pezzo è una dichiarazione d’intenti, richiamando i gruppi citati sopra, per poi sorprendere l’ascoltatore occasionale con il cantato, dal tono sognante e al contempo quasi cinico.

“Non è detto che la parte migliore/debba ancora venire”:  non pessimismo, ma pragmaticità.

Crateri e Letargo continuano secondo lo stesso schema: canzoni tutto sommato classiche, ma dalla strumentazione ricca ed emotiva (da notare l’uso di syth e tastiere, molto curato, frutto del lavoro di Vincenzo, chitarrista, e Massimo De Vita, produttore e noto per il suo progetto solista, Blindur: ne parleremo più avanti).

Dai diari del giovane Jurij è il primo pezzo dove l’anima post-rock dei Malmö prende il sopravvento: un crescendo costante, con un climax preannunciato da un motivetto sintetico dal sapore nordico (abbiam già detto che al disco ha lavorato Birgir Jon Birgisson, produttore islandese e mano dietro molti dischi dei Sigur Ros?). Affascinante come lo strumentale “attraversi” le strofe, senza venire turbato ma anzi armonizzando col testo. Cerchi concentrici continua sulle stesse corde dei primi tre pezzi, seguita poi da Dei fiori, degli odori e di tutte le stelle: pezzo dove personalmente sento più la mano di Massimo, sia per scelte melodiche che liriche, che non del gruppo stesso. Wabi sabi d’altro canto, mostra un’interessante uso di suoni ambientali, che in importanza forse sovrastano musica e testo, relegati a contorno; di seguito la title track, Rotazione Rivoluzione, strumentale che riversa tutta la voglia di post-rock trattenuta su un ritmo cadenzato, quasi di marcia, e poi Sequoie, chiusura lenta e melodica, quasi come un gentile e piacevole arrivederci. 


Il disco è finito, ci fermiamo a fare le considerazioni del caso. Prima di tutto, conoscendo bene il lavoro di
Massimo De Vita con Blindur, non posso fare a meno di tracciare somiglianze e affinità col suo sound: la direzione artistica di Massimo in alcune tracce diventa davvero preponderante sul gruppo stesso, ma nella maggior parte si palesa solo in dettagli secondari, celati. Rispetto al precedente disco del gruppo, Manifesto della chimica romantica, si nota chiaramente come l’attenzione verso suoni ambientali, synth freddi e un uso non eccessivo ma diffuso di riverberi ed echi sia aumentata, avvicinandosi alle sonorità che ormai permettono a quasi tutti di dire, dopo pochi secondi di un pezzo, “questa sarà musica islandese”: sonorità in parte definite da una leggenda come Birgir Jon Birgisson, che oltre a questo disco ha lavorato su dischi di autori come Sigur Ròs, Björk, Sòlstafir, Alcest, Tangerine Dream, Do Make Say Think e molti altri.

Tuttavia, non vogliamo togliere nulla alla band: il percorso di crescita fra un lavoro e l’altro è evidente, e l’approccio soprattutto verso l’aspetto strumentale è cambiato enormemente, generando musica più dinamica, forse meno poetica ma molto più intensa.

Che ci sia bisogno di parlare di una nuova piccola scena campana? Tempo al tempo e si vedrà.

Non c’è che dire: se i Malmö desideravano affascinare l’ascoltatore e portarli nel loro mondo, ci sono riusciti. E’ un disco piacevole, che sa dosare gli ingredienti che lo compongono a dovere; non possiamo che augurargli di continuare su questa strada, esplorando un sound molto personale e scelte liriche forse un po' meno personali, ma molto molto azzeccate.

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