RIO SACRO: GUIDA DI VIAGGIO DEI RIO SACRO
di Nat Vescio
Un laboratorio musicale aperto a chiunque abbia il piacere di creare e sperimentare – e divertirsi – ancora non l'avevo trovato: che siano lavori in studio o direttamente su un palco, i Rio Sacro chiamano a raccolta gli altri musicisti, come un fiume di grande portata chiama a raccolta i suoi affluenti.
I Rio Sacro sono gli umbri Edoardo Commodi e Norberto Becchetti, musicisti e compositori che han messo su questo progetto – non apposta – coinvolgente, che nuota liberamente intorno ad una radice saldamente ancorata alle rive limacciose del Mississippi.
A fine 2020 pubblicano tre live sessions realizzate alla Pepita Studio di Gualdo Tadino con la presenza di Giulio Catarinelli al basso e Jacopo Baldinelli alla batteria, ma è l'8 Aprile 2022 che sotto l'eccelse etichette Jap Records e L'Amor Mio Non Muore – Dischi esce Rio Sacro, omonimo esordio del duo.
Registrato in chiave acustica, è un album completamente strumentale (a parte la Lynchiana “Radio Notte” e l'esotica e spensierata “Un Altro Giro”, col contributo vocale di Anna Calderini) che comunica un'infinità di emozioni all'ascoltatore, con semplicità, talento e passione.
Mettendo play parte “Belvedere” e si ha la sensazione di essere in movimento, col venticello che timidamente ti svolazza i capelli, in un vivido pomeriggio d'autunno, quando le foglie degli alberi cambiano colorazione e ti accorgi della bellezza delle piccole cose. Che non sono mai piccole e nemmeno cose.
Sensazione analoga che ritrovo nel secondo brano “Canaglia” in cui però mi si materializza davanti la convivialità del calore umano adornato da luce soffusa e un feedback finale che diventa quasi un theremin (quel dettaglio giusto che c'è e sarà una costante nel nostro ascolto).
Volteggiamo in una soavità e una dolcezza tutt'altro che recondite in “Graziosa”, piuttosto ben espresse e delineate e a cui vien data vita e luce nell'incedere di queste battute vibranti e avvolgenti.
“Pastorale”, come il nome suggerisce, rimanda ad una visione più o meno convenzionale o simbolica della vita rustica, un vecchio rudere abbandonato ma di gran fascino che scoviamo durante il nostro passaggio, perchè ormai è consolidata l'idea che l'album ci fa da guida verso un caldo viaggio sonoro tra paesaggi familiari che sfociano in scorci insoliti ed inaspettati, costeggiando, per esempio, la Valle del Rio Sacro (realmente esistente, sull'Appennino Centrale) fino a toccare la profonda gola che ha solcato nei secoli l'omonimo torrente.
Durante gli scenari che ci scorrono incontro c'è anche il tempo per un' “Ultima Paglia” che sappiamo che non sarà mai veramente l'ultima ma, come questa canzone, ci serve un attimo di stacco prima di passare al brano successivo: come passi nella notte che nulla hanno d'inquietante, anzi, consolatori e amichevoli, che scandiscono tempo e ritmo in battiti musicali, veniamo risucchiati in questa “Palude”.
Ci dirigiamo a “Oltre La Sera” e ci lasciamo cullare da questa candida melodia mentre continuiamo il nostro percorso in modo soave, denso e lento. Sembra quasi che ci stia preparando ad andare a letto quando invece appare “Crocevia” ad illuminarci l'incrocio e che, con sonorità fluida e magnetica, in maniera impercettibile, avanza fino a diventare un tripudio di psichedelia e spazi aperti.
“Afroasiatica” accarezzata, delicatissima e verde di speranza che, nonostante la forma matematica e il suo aspetto freddo riesce ad essere emotiva, descrivendo un incedere annoiato in grado di assorbire la quotidianità e trasmetterla a chi ascolta
Anche la tenerezza può essere d'ispirazione, una musa incantatrice nei meandri armoniosi di accordi musicali. È ciò che riscontriamo nella finale “Stella Marina”.
Un album ben fatto (e questo è realizzato magnificamente) con un grande lavoro di riprese e mixaggio, un prodotto musicale di nicchia che si desidera sentire nelle orecchie.
La sfumatura onirica ed il suono etereo che si ottiene è il cielo su tutto ciò che viene articolato, un'aria evanescente che fluttua nella magia di una pace a cui anela e che a volte non sembra per niente irraggiungibile.
In poche parole bellezza e coinvolgimento, oblio e sensazione di un irreale curato e illuminante.
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Vignetta di Giacomo Capolupo
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