ATTRAVERSO LA CONDENSA. Il Befolko: “Puoi rimanere appannato?”
di Saverio Marasco
Il cantautore è quella losca figura che si aggira
nella nebbia dei vicoletti.
Osserva, incamera, rielabora e, solo allora, trasfonde la storia che ha visto
in musica.
Guarda attraverso le finestre appannate delle nostre vite, provando a delineare
i contorni delle immagini che, sfocate, riempiono i vetri.
Questo omino un po’ trasandato, che consuma i sanpietrini dei vicoli, completa
ciò che la condensa gli preclude: colma lo spunto che vede attraverso la sua,
di visione.
Roberto
Guardi, in arte il Befolko, è l’omuncolo sfocato che si aggira tra le nove
tracce di “Puoi rimanere appannato?” (2021, Dischi Rurali/Artist First).
Il Befolko si muove tra folk, poesia, farsa e ritmi esotici.
Non si sforza di essere ciò che naturalmente non è, e coniuga perfettamente il suono tipico dell’immaginario collettivo partenopeo agli spunti cantautoriali più ricercati.
Il vagare sommesso del Befolko lo porta a guardare attraverso nove finestre, in un agglomerato di stili che descriverei così: come se Pino Daniele suonasse Daniel Johnston.
Roberto immagina per noi la storia vista nella poesia della nonna Iole, alla
quale è dedicato l’omonimo secondo pezzo del disco.
Singolo anticipatore di “Puoi rimanere
appannato?”, “Iole” è il momento più delicato dell’album, in cui il Befolko
riempie la storia altrui di significato, o almeno del significato della sua
musica. Riesplode la vita nelle piccole cose.
“I che jurnata”, invece, è una storia
africana e tropicale, remota ed attualissima, in quello che, pur essendo il
momento – forse – più leggero dell’album, non perde in delicatezza; il conforto
dei legami, di contro, è l’immagine che il Befolko legge dentro al vetro di “Almeno
pè stasera”, altro racconto intimo, profondo, mai invadente.
L'unico pezzo che in cui il Befolko si dilunga a guardare è “ ’O muorto”, ballata dalle sfumature desertiche,
moderna e delicata tra selvaggio west
ed oriente, divertendosi con giochi di parole in quello che è quasi uno slang dialettale, che si presta a ponte
perfetto tra il sound partenopeo classico
e quello futuro.
Il sitar culla quello che viene sbirciato in “A
cuntrora”. Leggo che questo è un termine che, a Napoli, ha una valenza specifica:
non solo un orario ben preciso – la Controra,
ovvero quella immediatamente successiva al pranzo –, ma la sensazione che quel
momento comporta.
La spensieratezza sommessa della misandria: il racconto solitario del cercatore
di bellezza, tanto immaginato, quanto interpretato, dal Befolko.
Ed alla fine, il divagare di quell’omuncolo è giunto
all’arrivo.
La voglia – o forse il bisogno – di raccontare è passata, finita, impreziosita dall’ultimo
attimo trascorso con i 24 minuti del disco, rappresentato dall’immagine più
sfocata di tutte: “ENMNTC”, che, da sola, si potrebbe ergere a manifesto
dell’album con la sua chitarra lontana, dolce, risonante tra i vicoli alla fine
della notte, alla fine della passeggiata.
L’ultima finestra in cui sbirciare per l’omuncolo è la propria. Ed allora non
gli va più, e tutto finisce.
Le immagini sfocate riprendono le loro forme razionali, classiche, annoiate.
“Puoi rimanere appannato?” ci ha
fatto ascoltare proprio quello che l’opacità della vita messa in scena dagli
altri, ci dà modo di creare, permettendo di adattare le altrui forme indefinite
alle nostre storie.
Ed un bravo cantautore fa esattamente questo: gironzola tra le finestre
appannate, per riempirne le storie non viste, scontornate dalla condensa.
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