ATTRAVERSO LA CONDENSA. Il Befolko: “Puoi rimanere appannato?”


 di Saverio Marasco

Il cantautore è quella losca figura che si aggira nella nebbia dei vicoletti.
Osserva, incamera, rielabora e, solo allora, trasfonde la storia che ha visto in musica.
Guarda attraverso le finestre appannate delle nostre vite, provando a delineare i contorni delle immagini che, sfocate, riempiono i vetri.
Questo omino un po’ trasandato, che consuma i sanpietrini dei vicoli, completa ciò che la condensa gli preclude: colma lo spunto che vede attraverso la sua, di visione.

Roberto Guardi, in arte il Befolko, è l’omuncolo sfocato che si aggira tra le nove tracce di “Puoi rimanere appannato?” (2021, Dischi Rurali/Artist First).


Terzo disco del cantautore napoletano, registrato tra il dicembre 2019 e il gennaio 2020 al Le Nuvole Studio di Michelangelo Bencivenga e Massimo De Vita (produttore artistico ed arrangiatore dell’album), che, insieme ad una abbondantissima sfilza di musicisti – tra cui una vecchia conoscenza di Temtö: il buon Stefanelli – hanno preso parte in prima persona alle registrazioni.

Il Befolko si muove tra folk, poesia, farsa e ritmi esotici.
Non si sforza di essere ciò che naturalmente non è, e coniuga perfettamente il suono tipico dell’immaginario collettivo partenopeo agli spunti cantautoriali più ricercati.
Il vagare sommesso del Befolko lo porta a guardare attraverso nove finestre, in un agglomerato di stili che descriverei così: come se Pino Daniele suonasse Daniel Johnston.

Scivola tra i vicoli e vede tante storie, raccontando di chi è invitato alla speranza (“A M”) e raccontando dell’amore, visto tramite chi ha attraversato una vita intera.

Roberto immagina per noi la storia vista nella poesia della nonna Iole, alla quale è dedicato l’omonimo secondo pezzo del disco.
Singolo anticipatore di “Puoi rimanere appannato?”, “Iole” è il momento più delicato dell’album, in cui il Befolko riempie la storia altrui di significato, o almeno del significato della sua musica. Riesplode la vita nelle piccole cose.

I che jurnata”, invece, è una storia africana e tropicale, remota ed attualissima, in quello che, pur essendo il momento – forse – più leggero dell’album, non perde in delicatezza; il conforto dei legami, di contro, è l’immagine che il Befolko legge dentro al vetro di “Almeno pè stasera”, altro racconto intimo, profondo, mai invadente.
L'unico pezzo che in cui il Befolko si dilunga a guardare  è “ ’O muorto”, ballata dalle sfumature desertiche, moderna e delicata tra selvaggio west ed oriente, divertendosi con giochi di parole in quello che è quasi uno slang dialettale, che si presta a ponte perfetto tra il sound partenopeo classico e quello futuro.

Il sitar culla quello che viene sbirciato in “A cuntrora”. Leggo che questo è un termine che, a Napoli, ha una valenza specifica: non solo un orario ben preciso – la Controra, ovvero quella immediatamente successiva al pranzo –, ma la sensazione che quel momento comporta.
La spensieratezza sommessa della misandria: il racconto solitario del cercatore di bellezza, tanto immaginato, quanto interpretato, dal Befolko.


Ma l’album riesce a delineare storie anche dinamiche, nel loro messaggio essenziale: due estranei che assaporano il loro addio (“
Riesta n’atu ppoco”) ed il folle che augura la meraviglia a chiunque, indistintamente, in quella che cito, per testo, musica e significato, come mia canzone preferita del disco: “Ancora tiempo”. Perché sì, magari la bellissima dichiarazione d’intenti scritta da Roberto in questo pezzo è rivolta a qualcuno, ma riesce comunque a slabbrarsi fino a diventare un’idea generalissima in cui può specchiarsi chiunque senta il bisogno di non sentirsi sconfitto, sovrastato.

Ed alla fine, il divagare di quell’omuncolo è giunto all’arrivo.
La voglia – o forse il bisogno – di raccontare è passata, finita, impreziosita dall’ultimo attimo trascorso con i 24 minuti del disco, rappresentato dall’immagine più sfocata di tutte: “ENMNTC”, che, da sola, si potrebbe ergere a manifesto dell’album con la sua chitarra lontana, dolce, risonante tra i vicoli alla fine della notte, alla fine della passeggiata.
L’ultima finestra in cui sbirciare per l’omuncolo è la propria. Ed allora non gli va più, e tutto finisce.
Le immagini sfocate riprendono le loro forme razionali, classiche, annoiate.
Puoi rimanere appannato?” ci ha fatto ascoltare proprio quello che l’opacità della vita messa in scena dagli altri, ci dà modo di creare, permettendo di adattare le altrui forme indefinite alle nostre storie.
Ed un bravo cantautore fa esattamente questo: gironzola tra le finestre appannate, per riempirne le storie non viste, scontornate dalla condensa.

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Artwork di Giacomo Capolupo



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