“NO COFFEE”, OVVERO MUSICASSETTE DISTRATTE PER PASSEGGIATORI NICHILISTI.



di Saverio Marasco 



Succede che certe mattine ti svegli. Ti butti fuori dalle coperte ed entri nel freddo del mondo poggiando i piedi sospesi sul pavimento, cercando le ciabatte. 
Ecco, quell’attimo prima di toccare le mattonelle, sei sospeso. 
Se dovessi descrivere con una sensazione il primo EP di Stefanelli, o meglio Luca, sarebbe esattamente questa.  
“No Coffee” (Dischi Rurali, Artist First) è uscito lo scorso 16 aprile, ed inconsapevolmente ha occupato le mie mattine senza che me ne accorgessi. 
 

A dire il vero, ha segnato quel momento di pausa, di respiro, leggero e sgraziato. 
L’Ep inizia con “Dentro di me”. 
Un sound chiaro che passeggia tra le macerie di una normale serata in giro. 
Lo stesso Luca la descrive un po’ così, ed ancor prima di saperlo, l’immaginario è esattamente quello: sentirsi smarriti mentre si passeggia verso qualcosa che neanche a chi cammina importa tanto. Si ci perde. Si ci perde e si arriva in un club vuoto, kitsch, con tanto di strobo e festoni squallidi. In questo quadretto, tutto l’amore di “Rondò”. Si capisce che è tutto immaginato, mentre si guarda la venere di turno ballare lentamente, sgraziata e bellissima, al centro della pista, ormai spoglia degli avventori di cui poco ci importa. 




Tra gli stacchi che ci tolgono il fiato al momento giusto, la terza traccia è “Controcorrente”, che, insieme alla precedente, è stata il singolo che ha preceduto l’uscita dell’Ep. 
La schifosa tranquillità è resa bene in questo Ep, e questa canzone ne è un esempio; mi ricorda quell’Indie che ancora non si chiamava, per fortuna, It-Pop, e che riusciva a catalizzare le attenzioni di tutti, prima che tutti lo trasformassero in un qualcosa a cui è meglio non avvicinarsi. Alcuni escamotage sonori qui sono bellissimi, tipo il brano che, nel suo squagliarsi, assomiglia ad uno di quei rari momenti di distrazione che capitano a chi ha tanto da pensare: è il riassunto di tutto il bello che possiamo trovare in questo disco Lo-Fi. 



Le “Cassette”, poi, sono i piacevoli stacchi dell’Ep. Non vanno sottovalutate. Sono proprio loro quelle che mi colpiscono di più: piccole gemme in cui tutto il sound di Stefanelli è riassunto ed impacchettato. Sono due: la #2 (“Licola”) e la #1 (“No Coffee”, che dà il nome al disco). Quest’ultima, ti prende dentro pur essendo una sola frase. Hey, che ora è? Ho proprio tanta fretta di credere che potremmo vincere”. Tatuiamocela tutti, è una delle verità vere di questo mondo. 


 “Na na na” invece, è, la canzone più delicata dell’Ep. Semplice, senza pretese, bellissima. La forza del saper scrivere, l’ho sempre detto, è nel sottrarre l’inutilità, non nell’aggiungere cose. 

A chiudere “No Coffee”, c’è un pezzo che sa tanto di arrivederci. Un arrivederci che chi ne sa qualcosa di svegliarsi in un letto ed avere, come primo pensiero, quello di bere un’intera cassa d’acqua per levare il saporaccio dell’alcool scadente della sera prima. Se poi ci metti chi ti fa domande in una mattinata in cui vorresti solo stare in silenzio, ti arrendi a ripetere lo stesso iter domani, dopodomani, dopodopodomani e via dicendo, ad libitum. 


La produzione a cura di Massimo De Vita (Blindur) rende ogni singola emozione che accompagna i pezzi, ed è sicuramente da elogiare in tutto quello che ci sta dietro, davvero meraviglioso. 


Stefanelli ci saluta ammettendo che tutto quest’album è un’idealizzazione, lo so io, lo sa lui e lo sappiamo tutti, e non possiamo non farci strappare un sorriso (ed un sospiro) a fine del viaggio. 


Questo è il percorso che ci fa fare Stefanelli, ambientato in quella frazione di secondo tra pelle e pavimento, quell’essere meravigliosamente  


sospeso

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