IL QUADRATO NO, NON L’AVEVO CONSIDERATO: “INTERNO 29” DE LEFRASIINCOMPIUTEDIELENA
di Silvestro Perri
Un musicista lo sa, un ascoltatore lo sospetta: creare un album è difficile. Non basta comporre la musica, non basta registrarla e mixarla: bisogna prima di tutto ideare e progettare quella che sarà l’anima di un lavoro discografico. Un disco deve aderire o meno ad una serie di parametri, percorrere linee sottili o tracciare percorsi già visti: deve essere geometria.
LefrasiincompiutediElena nascono tra Roma e la Puglia con un obiettivo: “Terminare quello che Elena non ha più raccontato a nessuno”. Non ci è dato sapere altro, ma nella geometria di questo progetto mi è stato chiaro subito un concetto fondamentale, e cioè che coniugare semplicità e complessità non è facile, e richiede un lavoro elastico. Così elastico da sembrare rigido.
Il loro album d’esordio si chiama “Interno 29” e se dovessi definirlo con tre parole, sceglierei “si”, “fa” e “ascoltare”. Questo disco non vuole essere misterioso, non richiede più di due o tre ascolti per essere sviscerato. Non vuole celare segreti, ha qualcosa da raccontare e sceglie il modo più lineare per farlo.
Rimanendo in tema geometrico, in questo album non vedo i trapezi del math rock, gli esagoni dell’emo, e neppure i triangoli della musica elettronica. È un album “quadrato”, delineato da quattro segmenti di uguale importanza.
Il primo è la matrice indie pop-rock di stampo anglosassone, che guarda alla Manchester degli anni ’90, prende appunti e poi li rielabora all’italiana, con chitarre che non serpeggiano come cobra ma montano come panna. Non ci sono chitarre acustiche, né fill di batteria. “Per scelta” (cit.).
Il secondo segmento è l’indie del nostro paese. Non tanto nella musica, quanto nei testi e nell’atteggiamento. Queste frasi sembrano quasi improvvisate, perché la Elena che si cela dietro la voce del cantante non è una poetessa o una diva. È una ragazza qualunque, e parla la nostra lingua, in maniera a volte troppo sporca e a volte troppo educata. Sempre con un’elasticità che di solito non associamo ad un lavoro così quadrato.
Il terzo lato riguarda appunto un problema di identità. In un ambiente musicale in cui siamo abituati a fare nome e cognome di individui che cercano affermazione e fama, LefrasiincompiutediElena sono riuscite a disorientarmi. È un gruppo musicale? È un progetto solista? È un collettivo? Le informazioni online sono scarse, abbiamo fermato la loro biografia ad un posto di blocco e persino lei si è rifiutata di mostrare i documenti. E allora chi canta queste canzoni? Semplicemente non importa. L’atteggiamento della voce che canta rispecchia questa scelta, poiché non è una voce imperiosa, individualista, che tratta la musica come una base da karaoke. La voce è solo una tra le melodie che compongono queste canzoni, non sovrasta gli altri elementi compositivi. Lo vediamo in pezzi come “Incenso” o “Fiori e Camomilla”, in cui una certa timidezza quasi ti conquista. Ci vogliono un paio di ascolti per convincersene.
L’ultimo lato è quello che forse nemmeno LefrasiincompiutediElena hanno scelto. La percezione e interpretazione del pubblico. Prendiamo per esempio “Questo nostro ematoma”, la mia canzone preferita dell’album. Ci mette un po' a svelare la sua melodia, ma quando lo fa mi sento di affidarle la mia intimità e lasciarmi guidare. L’ematoma è una metafora molto usata in ogni genere musicale, ma è ogni singolo ascoltatore a decidere quali dei suoi tanti ematomi hanno bisogno di una dedica. E allora questo quarto lato del quadrato siamo noi. Ascoltiamo questa cazzo di musica in italiano, e per l’amor di Dio facciamola in italiano, basta inglese, non abbiamo niente da nascondere e niente di cui vergognarci, ce lo insegnano LefrasiincompiutediElena. Per cominciare, ascoltate quest’album.
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