AGHIASOPHIA VOL. II: QUELLO CHE RIMANE



di Saverio Marasco

 

Com'è un festival artistico/musicale?

 

O meglio, com'era?

 

O meglio ancora, come andrebbe vissuto?

 

O meglio ancor di più: cosa te ne può rimanere?

 

A tutte queste domande stanno provando a rispondere, da due anni, i ragazzi de Il Filo di Sophia con il loro "AghiaSophia Festival".

Ormai è passata più di una settimana da questa seconda edizione, ed il trascorrere del tempo favorisce il permanere di quei concetti fondamentali che AghiaSophia ci ha saputo lasciare.


Innanzitutto, chi ha voluto quest'evento ha alzato la mano in merito alla prodromica domanda del come/dove fare un festival, riaffermando con forza la scelta prato-boschi-reperti archeologici terribilmente sottovalutati.

Siamo all'Abbazia di Santa Maria di Corazzo (Carlopoli, CZ) o, per noi indigeni, Curàzzu.

Per la seconda volta di fila.

Una scelta territoriale mirata e pacifica che sembra incredibile - e lo è - per chi è di qui. Ruderi bellissimi e spesso dimenticati, ripopolati dalla vita in tutte le sue sfaccettature sensoriali: suoni, risate, profumi, immagini. Era da tanto – da ben prima della scorsa edizione – che questi luoghi di bellezza ex sé non si riempivano di meraviglia umana.

Non c'è campo per i telefoni, il ché va bene: c'è troppo da fare.

Questa è la base, la circostanza nella quale sviluppare il discorso condiviso al quale abbiamo partecipato anche in questa seconda edizione di AghiaSophia.

Il Filo di Sophia risponde alle domande inziali di questo articolo (al com'è ed al com'era un festival) facendoci ricordare cosa si provava a girovagare tra stand, esposizioni ed estemporanee artistiche, ma non solo.

Rispondono alle nostre domande con la condivisione tangibile, con il dialogo senza barriere, con l'immediatezza della socialità spicciola e vinificata, elevando il tuo attraverso la filosofia. Questo è il vero cardine di AghiaSophia: la filosofia, attraverso le emozioni sensoriali.

Perché seppure questo festival ha saputo far sfruttare al meglio le percezioni -audio, visive, performative, alimentari, tattili - è nel suo concetto filosofico che conquista i cuori.


 Parliamo di quella filosofia della quale io didatticamente capisco e/o ricordo ben poco, giustificandomi con la convinzione che non è questo quello a cui dovrebbe mirare il confronto filosofico.

Il confronto filosofico dovrebbe e deve - diciamolo con forza - partire dal nulla, dalla considerazione dell'ignorante in tema. Dal sapersi meravigliare - dacché interrogare - del dialogo e sul dialogo. Quest'ultimo non può che essere, immancabilmente e filologicamente, scambio e condivisione.

Ma condivisione concreta, tangibile, banale.

Διάλογος - il discutere come strumento.


Anche la musica, viene discussa e parlata dagli artisti di AghiaSophia. Giovanni Truppi e Darione Brunori parlano amabilmente della loro concezione di musica, strumenti e filosofia.

Emidio Clementi analizza e ci parla, navigando sulle note di Ignacio Nisticò, facendo contenti tutti i fan dei Massimo Volume.

Tutto spontaneo, tutto elaborato spontaneamente concetto dopo concetto attraverso pensieri immediati, abbattendo completamente la barriera tra artisti e pubblico.

Viene abbattuta addirittura la barriera tra festival e pubblico, rendendo ognuno connesso con tutt'intorno.

L'arte e la bellezza vengo create in primis dai volti dei partecipanti, degli artisti che gironzolano tra le attività della due-giorni.

Senza sovrastrutture, con l'attenzione rivolta alle cose che abbiamo in questa terra matta e spenta. Con l'occhio puntato alle persone che fanno cose e si scambiano energie. Non c’è fretta, non c’è frenesia nel voler dimostrare niente: siamo tutti qui, insieme.

Così come una donna sola su un palco - Antonella Carchidi – che crea uno spirito collettivo, nel quale il concetto di Acufene vibra nelle percezioni del pubblico. Sbraitando, accarezzando, forgiando con il corpo lo spettacolo di "AMANDA" (una produzione LaboArt).

Semplicità ed immediatezza, spontaneità e sentire comune.



Questo è quello che traspare e viene riassunto dallo sguardo di Giuseppe Bornino [N.d.A. uno dei direttori artistici del festival, con cui abbiamo fatto una bella chiacchierata in video, lo trovate sul nostro Instagram], mentre visibilmente emozionato ci spiega quello che si sta tentando di fare con AghiaSophia: riappropriarci un po' di tutte quelle sensazioni che pensavamo perso e, inesorabilmente, meravigliarcene.

Ma ricordandoci che siamo tutti insieme ad imbarcarci in questo mondo, e bisogna aver cura delle esperienze.

Perché è arte tutto ciò che si fa con criterio e spontanea passione.

Perché è arte organizzare un festival e chiedere agli avventori in fila per i biglietti, come prima cosa: "lo volete il caffè?".



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